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Il disegno di legge Fini ha tre caratteristiche: è contro chi usa stupefacenti, anche marginalmente e occasionalmente, è contro i servizi pubblici socioassistenziali sulle dipendenze, è incostituzionale e, fuori della competenza dello Stato, invade in gran parte, la potestà legislativa delle Regioni.
Qui mi voglio soffermare sul terzo aspetto: l’invasione della sfera di potestà legislativa delle regioni, introdotta con l’art. 117 Costituzione: una riforma (2001) a cui non abbiamo preso bene la mano (e forse le tirate sulla mitica devolution di Bossi non ci aiutano).
La materia che ci interessa, della prevenzione e dell’intervento sulle dipendenze, sta fra il sanitario e il sociale.
Per il primo aspetto, il comma 3 dell’art. 117 indica la tutela della salute fra le materie di “legislazione concorrente”, nelle quali (v.comma 3 in fine) «spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata
alla legislazione dello Stato».
Per il secondo aspetto – il sociale – si applica il comma 4: «Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato».
Ora, la legislazione sugli stupefacenti, presenta due versanti ben distinti: l’uno è quello della prevenzione e del contrasto relativi alla produzione e al mercato dello spaccio degli stupefacenti e alla conseguente punizione di chi pone in essere le condotte relative: certo, la definizione di queste condotte può estendere quelle punibili anche a chi fa uso di stupefacenti e, in tal caso, ci saranno riflessi sull’altro versante; il quale è quello relativo alla prevenzione e agli interventi nei confronti di coloro che usano gli stupefacenti e, in particolare, di coloro che hanno un rapporto di dipendenza dagli stessi: questa è attività di tutela della salute e della situazione sociale, gestita, infatti, da organi che appartengono alla organizzazione sanitaria o anche a quella sociale.
Va osservato subito che l’attenzione riservata dal disegno di legge Fini al primo versante è minima per il resto, salvo che per la punizione dell’uso di sostanze.
Anche la sua presentazione, sia in sede di annunci ripetuti e di conclusiva redazione delle modifiche alla legislazione vigente, da un lato interviene nella legislazione penale con ricadute pesanti sul versante sanitario e sociale e, in secondo luogo, entra pienamente nello stesso con tutta una serie di disposizioni che toccano chiaramente l’ambito della organizzazione e del contenuto degli interventi attinenti al versante della tutela della salute e della riabilitazione sociale.
Quali, in materia sanitaria, i principi fondamentali che lo Stato ha enunciato? Prevenzione e superamento delle dipendenze dagli stupefacenti, processi di inclusione sociale delle persone dipendenti.
Non a caso il comma 6 dell’art. 1 viene soppresso dal disegno di legge: era quello che riguardava indirizzo e coordinamento delle attività di competenza delle regioni, che il vecchio testo chiamava «amministrative», ma che non possono più essere considerate tali, perché ora regolate dalla potestà legislativa delle regioni.
Si è già rilevato che, invece, gli interventi sociali appartengono in modo esclusivo alle regioni.
Posta questa premessa, si possono formulare più rilievi su vari piani al disegno di legge in questione.
Primo piano dei rilievi: una esasperata affermazione centralista, concentrata presso la Presidenza del Consiglio, che sostituisce gli stessi ministeri: questa organizzazione si articola in una serie di organi descritti negli artt: da 1 a 1sexies, tutti rigorosamente centrali. Leggete la composizione di questi organi, che pure si interessano in buona parte del versante sociosanitario: nessun cenno alla partecipazione di regioni e servizi pubblici.
E ancora: art. 2, comma 1, lettera a): è il ministero della Salute che «definisce… gli indirizzi per le attività di prevenzione del consumo e delle dipendenze… e per la cura e il reinserimento sociale dei soggetti dipendenti…». Ciò avviene «di intesa» anche con le regioni. Ma la potestà legislativa è di queste ultime! Per vero, esiste un organismo di riflessione e confronto su prevenzione e cura delle dipendenze: ed è la conferenza nazionale triennale su tali argomenti: nel nuovo testo nessun cenno alla intervenuta potesta legislativa delle regioni (comma 8 dell’art. 1). Tale conferenza, scaduti da tempo i tre anni, aspetta di essere convocata.
Secondo piano dei rilievi. Va preso in considerazione un problema: ma la legislazione penale può ignorare che c’è un versante socio- assistenziale di competenza delle regioni, può condizionare e pregiudicare l’azione di questo? Credo che la risposta debba essere negativa.
E i punti essenziali sono tre: il primo è il divieto dell’uso degli stupefacenti e la punibilità dello stesso (art. 72 e 73): prescindendo dalla incostituzionalità (è contro il referendum del 93), ci si è chiesti in che modo può convivere con l’intervento socio-assistenziale sulle dipendenze?
il secondo: per le sanzioni amministrative del prefetto (art.75) e ancora peggio per quelle del questore (art. 76), vale l’interrogativo precedente. Significativo che, per questi provvedimenti, gli accertamenti sono limitati alle sostanze e sono condotti da organi di analisi sulle stesse (commi 3 e 10 dell’art.75): la persona interessa poco. L’invito al programma terapeutico è fatto dal prefetto, su tali basi; il terzo riguarda le norme relative alla custodia cautelare in carcere: l’originario divieto della stessa, salve «esigenze cautelari di eccezionale rilevanza », già abbastanza annacquato da disposizioni successive (si possono calcolare in circa 7.000 i detenuti non definitivi in carcere), si complica molto. Il disegno di legge Fini sostituisce al divieto una semplice facoltà del giudice di non applicare la custodia cautelare in carcere, ma prevede, come alternativa alla stessa, la custodia cautelare agli arresti domiciliari. Cosa significa? Che gran parte delle comunità non accettano persone in arresti domiciliari e che, per un’altra disposizione del disegno di legge, gli arresti domiciliari saranno prevalentemente condizionati dall’inserimento in una comunità residenziale. Due considerazioni: la prima, che non sarà facile uscire dal carcere; la seconda, che la scelta della comunità è obbligata e non è affatto detto che quella individuata sia la più idonea per l’interessato.
Il terzo piano dei rilievi riguarda il chiaro sconfinamento del disegno di legge nelle materie che sono riservate alla potestà legislativa delle regioni. Si può fare un florilegio degli sconfinamenti.
Art. 113: siamo per definizione nelle competenze delle regioni, ora competenze legislative. Il disegno di legge ci lavora a piene mani. Ma non è competenza dello Stato: e non lo è anche la parificazione delle strutture private al servizio pubblico. La collaborazione c’è stata da sempre, ma la parificazione significa ipotizzare un organo centrale che dirige e
coordina: e così si viola l’art.117 Cost.. Vedi anche l’art. 114: qui versiamo in materia sociale di competenza esclusiva delle regioni.
Art. 78: «il tipo, il grado e l’abuso delle sostanze» è problema che interessa il versante socio-sanitario e il disegno di legge, ignorando le competenze regionali, stabilisce le modalità e procedure diagnostiche. E qui va notato un punto: che si sottolineano gli aspetti «medico-legali e tossicologico-forensi» di tali accertamenti: l’idea di fondo è che si
vuole accertare la dipendenza fisica, non quella psichica, che è la decisiva?
Artt 89, comma 2, 91, comma 2, 94, comma 1: si regolano certificazione della dipendenza e contenuto dei programmi e procedimenti diagnostici relativi: non è competenza dello Stato; art. 123: la relazione sull’andamento dei programmi terapeutici viene redatta secondo il decreto del ministro della salute: qui siamo in piena attività socio-sanitaria e competenza regionale; art. 96, comma 3: si conferma che l’attività sociosanitaria in carcere è gestita dal servizio pubblico, ma poi gli obiettivi di tale attività vengono fissati dagli organi centrali dello Stato e sono ancora questi che, senza alcun ruolo del servizio pubblico, fanno convenzioni per l’attuazione di programmi terapeutici in carcere; artt. da 104 a 106bis: a prescindere dal fatto che la competenza in proposito dovrebbe essere delle regioni, non si trova alcuno spazio partecipativo per le stesse e questo quando anche il sistema scolastico ha una organizzazione regionalizzata, nella quale è significativo il ruolo di regioni e provincia; art. 122: entra largamente nella materia dell’intervento terapeutico ed è evidentemente critico e cerca di scoraggiare sia i tempi dell’intervento metadonico o di altri prodotti, sia gli interventi di riduzione del danno.