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“Il controllo dell’assunzione del cibo avviene a livello del sistema nervoso centrale e ciò ci permette di affermare che esiste una stretta relazione tra cibo e cervello”, ha oggi spiegato il prof. Paolo Maria Rossini in un comunicato stampa della Società Italiana di Neurologia (Sin).
“Già nei primi anni ’40 – ricorda Rossini – si era visto che la distruzione di alcuni nuclei ipotalamici determinava un aumento dell’appetito con conseguente obesità, mentre la lesione delle aree laterali dell’ipotalamo causava, al contrario, perdita dell’appetito; la stimolazione elettrica dell’ipotalamo produceva effetti opposti. In realtà non esistono dei veri e propri centri della fame e della sazietà, ma dei complessi circuiti neuronali appartenenti a strutture cerebrali diverse che regolano tali funzioni”.
“Numerosi studi dimostrano che il cibo è un potenziale oggetto di dipendenza psicofisica, in particolare i cibi salati o i cibi a elevato contenuto di zuccheri semplici, di grassi, o ancora, di combinazioni tra questi. E sono state dimostrate forme di dipendenza da zucchero molto simili, nell’espressione, ai casi di dipendenza da sostanze stupefacenti”, ribadisce dal canto suo il prof. Antonio Federico, presidente Sin.
“La maggior parte delle persone – prosegue – sperimenta almeno una volta nella vita l’urgenza di ingerire uno specifico alimento, ma solo per una piccola parte di loro tale desiderio risulta irrefrenabile con conseguenze emotive e comportamentali: ad esempio, il 60% circa delle donne adulte presenta episodi di forte desiderio di cibo, in particolare durante la gravidanza, e nel 20% dei casi tale desiderio risulta difficilmente controllabile”.  
 
Questo fenomeno è stato studiato mediante risonanza magnetica funzionale ed è stata riscontrata un’attivazione di alcune aree cerebrali, fra le quali il nucleo caudato, l’ippocampo e l’insula, quando i soggetti sperimentavano un desiderio irrefrenabile nei confronti di un determinato alimento. Sarebbero le stesse aree che si attivano nei cervelli dei tossicodipendenti nel momento della ricerca disperata della sostanza d’abuso. 
“A seguito dell’ingestione di cibo – aggiunge Federico – aumenta il rilascio di dopamina a livello cerebrale, simile all’aumento dovuto all’uso di cocaina; negli obesi, così come nei tossicodipendenti, è stata dimostrata una ridotta sensibilità alla dopamina e al suo effetto appagante; alcuni cibi, quali lo zucchero, determinano anche un rilascio di oppioidi oltre che di dopamina, che ne potenzia l’effetto di gratificazione”. 
Una curiosità finale… La cioccolata eleverebbe il tono dell’umore perché stimolerebbe le concentrazioni di anandamina, caffeina, feniletilamina e magnesio, oltre a influire sulla produzione di endorfine (oppioidi endogeni).