La Società italiana di neurologia, ammonendoci che tra Natale, Capodanno e la Befana potremmo fare la fine dei protagonisti del capolavoro di Marco Ferreri, “La grande abbuffata”, cerca di prendere due piccioni con una fava: cioè va a riscoprire col suo “autorevole” messaggio – qui diligentemente trascritto – sia l’ombrello che l’acqua calda.
Ma perchè rispolverare dalla cattedra di una autorevole società medico-scientifica queste ovvietà, note almeno sin da quando Homo sapiens ha iniziato a lasciar tracce della sua storia inventando la scrittura? (Pensate per esempio all’omerico Polifemo, che dopo il banchetto di vino e carnagione umana “…della carne i pezzi / con sonanti mandava orrendi rutti…”, inconsapevole della sua prossima brutta fine; o ai fiumi di letteratura dove si legge di nobili signori tormentati dalla gotta per aver divorato troppe pregiate carni rosse, generosamente innaffiate da vini costosi).
Elementare, Watson: si tratta di appropriarsi attraverso il linguaggio medico-specialistico-postmoderno equivalente neuro-biochimico-patologico di antiche elucubrazioni come quelle del medico di Molière – di un sapere comune che è troppo ghiotto (è proprio il caso di dirlo) per esser lasciato alla degustazione del popolo bue.
Ma il senso del ridicolo che fine ha fatto? O avranno trincato in anticipo rispetto alle prossime Feste?
E comunque Buone Feste