Fuori dai denti
A cura di Franco Corleone e Grazia Zuffa
Edizioni Menabo’, 2002, 10 Euro
La recensione di Luigi Manconi
Questo libro di Giancarlo Arnao – più di altri lavori dello stesso autore – consente di far emergere alcuni tratti della sua personalità, fino a evidenziarli come peculiari vocazioni. Ma, dal momento che in Arnao tutto si traduceva in un laboriosissimo e acribioso fare, quei tratti di personalità assumono la forma e la forza, insieme, di categorie culturali e di attività sociali e, direi, politiche.
La prima vocazione è definibile come la ragionevolezza del cittadino coscienzioso. Mi viene in mente una foto di Giancarlo, più volte riprodotta e, infine, rielaborata in un bel disegno di Hans Otto Richte, pubblicata su Il lecito. C’è proprio tutto il cittadino coscienzioso, in quella foto, scattata in un giorno invernale, con Giancarlo che indossa vestiti pesanti e un improbabile cappelletto che gli cala sulla fronte e, sul petto, il simbolo della marijuana. L’aria è di chi fa il suo dovere, paga le tasse, conosce il suo posto nel mondo, rispetta le leggi o – ecco il punto, quello cruciale e dirimente – se le viola, intende pagarne le conseguenze; ed è moderatamente soddisfatto se viene chiamato a farlo. È legalitario, pertanto: nel senso – così anomalo per la cultura, il senso comune e la stessa antropologia nazionale – attribuito al termine dai radicali nei loro momenti felici. Ma il legalitario non è un suddito né un conformista. Al contrario: il suo rispetto delle leggi, come strumento di regolazione delle relazioni tra gli uomini, gli consente di contestare più efficacemente quelle leggi se e quando gli appaiono ingiuste e irrazionali. È, dunque, totalmente diverso dal sovversivo: rispetta la legge a tal punto da violarla, se lo ritiene equo e indispensabile; e ne affronta le conseguenze perché sa che solo il fatto di “pagare il dazio” e di scontare la sanzione gli danno la legittimità necessaria per negarle ubbidienza.
Tutto questo, sia chiaro, Giancarlo Arnao mai lo avrebbe detto con i termini e il linguaggio cui ho fatto ricorso: lo avrebbe esposto con sobria concretezza e sornione pragmatismo. Così come avrebbe rifiutato, o riottosamente subito, l’altra definizione che, a mio avviso, bene illustra il secondo tratto peculiare della sua attività. Ovvero la pedagogia non autoritaria del maestro responsabile. E, infatti, tutto il lavoro di Arnao, nutrito di letture onnivore e aggiornatissime, si traduceva in una quotidiana attività di informazione/divulgazione. C’era, in lui, un’ansia di comunicare che nulla aveva di supponente e di esibizionistico, ma corrispondeva al bisogno irriducibile di “dire la verità”. Non la Verità altisonante e prepotente dei predicatori, ma quella concreta, concretissima – ma tanto più vera – dell’esperienza. Il maestro responsabile è chi trasmette ciò che sa, poco o molto che sia: e in lui agiscono amore per la conoscenza (idee e cose) e senso (curiosità) dell’altro.
Per questo, la vita di Arnao è stato un ininterrotto e tenacissimo argomentare. E, tuttavia, mai disperato. Arnao aveva fiducia in ciò che sapeva e diceva: e non ne voleva convincere il mondo, ma solo – solo? – il suo interlocutore.
E, allora, perché Fuori dai denti – meglio di altri lavori – evidenzia questi tratti della personalità di Arnao e queste sue vocazioni? Perché è un abbecedario, un libro di lettura, un prontuario per difendersi dagli inganni quotidiani e dalle menzogne ordinarie. E perché mostra quella sua capacità artigianale – manuale e prestidigitatoria: propria del buon cavadenti – di districarsi all’interno della selva degli interdetti ideologici e peseudoscientifici, per indicare una via d’uscita. C’è? C’è.