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PERUGIA – Il Festival del Giornalismo 1 molla gli ormeggi e regala le sue prime storie. C’è quella di Malcom Beith, per sette anni direttore di Neewsweek e per altrettanti alle costole dei narcotrafficanti del continente americano. Il suo libro inchiesta “L’ultimo narco”, ha portato alla ribalta internazionale la crescita del crimine messicano, i suoi immancabili legami con la politica, i molti uomini di fiducia collocati nei posti più prestigiosi e delicati del governo locale.

C’è Anabel Hernandez, che non condivide una sola riga di quanto scritto da Beith, convinta che il boss Chapo Guzman sia un cocainomane incapace di leggere e scrivere più che un abile stratega del narcotraffico, ma che, al pari del collega, non risparmia particolari nel raccontare cosa sia diventata la malavita messicana in questi anni, padrona del mercato della coca nel mondo, “mediatrice tra i produttori colombiani e le piazze internazionali, e solita flirtare con la piccola mafia italiana nei quartieri bene di New York”.

Alla Hernandez, autrice di numerosi bestseller e molto popolare in Messico, le minacce sono arrivate direttamente dal ministro della Seguridad, che per l’appunto le ha assicurato una sfilza di guai se non si fosse decisa a rivelare le sue fonti d’informazione. In assenza di risposta, un gruppo di militari
in borghese è andato a festeggiare il compleanno della sua nipotina di tre anni, piantandole un mitra alla nuca, un’intimidazione che non ha fermato la Hernandez. Quando chiedi se dopo l’incontro con Saviano è nato qualche progetto, le s’infiamma il volto. “Forse che sì”, si limita a dire.

C’è poi la storia di Oleg Kashin, che molti hanno visto ripreso da una telecamera di servizio, massacrato a calci e pugni davanti al cancello di casa propria, una lezioncina innocua nella Russia dell’amico Putin, dove negli ultimi anni ne sono morti venti di cronisti, Politkovskajaa compresa. Sembra ancora portarne i segni, sul volto e nella psiche. La sua testimonianza farà il paio con quella della connazionale Oxana Chelysheva, costretta ad andarsene dal suo Paese per salvare la pelle, dopo aver visto uccisi quattro collaboratori della sua agenzia.

Infine ci sono i nostri, i cronisti di Calabria, che zitti zitti (tranne loro) hanno raccattato venti minacce di morte nell’ultimo anno. Il libro di Roberto Rossi e Roberta Manni, “Avamposto”, parla di come si esercita la professione tra Cosenza e Reggio. Di come essere sequestrati da un pericoloso malvivente libero di circolare solo per aver fotografato una scritta su un muro.