Lo Incb (International Narcotics Control Board) ha condannato la Bolivia per aver denunciato la Convenzione Unica sulle droghe del 1961, con l’intento di sottoscriverla di nuovo in seguito ma con una riserva sulla foglia di coca. Il presidente boliviano si è risolto a questo passo dopo che il tentativo di emendare la convenzione, togliendo la coca dalle sostanze bandite, è fallito per l’opposizione dei paesi del G8, dietro pressione americana (cfr. Salvina Rissa in questa rubrica, 29/6).
“La comunità internazionale non dovrebbe accettare che i governi usino il meccanismo della denuncia/riaccesso con riserva, al fine di non ottemperare ad alcune clausole dei trattati. Questo approccio mina l’integrità del sistema globale di controllo della droga – ha ammonito il Board – e la Bolivia dovrebbe considerare molto seriamente tutte le implicazioni del suo atto”.
Nonostante qualche passo avanti negli ultimi anni, lo Incb ha tradizionalmente interpretato le convenzioni in modo rigido e bigotto tanto da suscitare la contestazione di diversi paesi sotto tiro (si vedano gli attacchi del Board per le scelte di decriminalizzazione del consumo e di riduzione del danno).
Sulla coca, lo Incb si è sempre mostrato inflessibile e inficiato da pregiudizi, fino a ingiungere nel 2007 alla Bolivia, al Perù e all’Argentina di cambiare le legislazioni nazionali in modo da mettere al bando la masticazione della foglia e le bevande come il tè di coca, in ottemperanza alla Convenzione Unica del 1961. E’ un chiaro caso in cui un organismo dell’Onu incita alcuni stati membri a violare direttamente altri trattati e dichiarazioni delle stesse Nazioni Unite: in questo caso la dichiarazione del 2007 che protegge le culture e i diritti delle popolazioni indigene.
Il Board è nel giusto a segnalare il conflitto fra le leggi nazionali della Bolivia, del Perù, dell’Argentina (ma anche della Colombia) che autorizzano l’uso della coca nei territori indigeni, da una parte; e la convenzione sulle droghe che richiede di abolire questo uso tradizionale, dall’altra. Perciò, il Board avrebbe potuto salutare con favore gli sforzi della Bolivia per riconciliare gli obblighi dei trattati internazionali con la tradizione millenaria della coca. Invece lo Incb ha reagito con infinita arroganza. Questo organismo parla come se godesse dell’infallibilità papale e fosse perciò sollevato dal compito di motivare i propri giudizi con argomenti basati su un’analisi razionale. I membri dello Incb non si sentono in dovere di entrare nel merito e di controbattere le ragioni di coloro che si permettono di condannare, o di citare fonti scientifiche e di diritto internazionale a sostegno delle proprie opinioni.
Questa presa di posizione dello Incb è come un giudizio dell’Inquisizione: invoca la punizione della Bolivia per aver commesso peccato contro la sacralità della Convenzione, senza offrire alcuna spiegazione, argomentazione o soluzione. Esattamente come per l’Inquisizione, il proclama dello Incb non mira tanto a correggere il (paese) colpevole, quanto a spaventare gli altri e a distoglierli dal male che potrebbero commettere contro l’integrità del sistema globale di controllo delle droghe.
Il caso della Bolivia non riguarda la procedura di denuncia/riaccesso, che è legittima ed è stata usata in passato. Né riguarda l’uso della foglia di coca, che ovviamente continuerà checché se ne dica a Vienna. La vera questione è la paura di riconoscere che l’attuale cornice legale dei trattati internazionali sulla droga è obsoleta e necessita di riforme.
Articolo di Redazione
Martin Jelsma (Transnational Institute, Amsterdam) racconta per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 20 luglio 2011 la crociata contro la Bolivia avviata dall’INCB dell’ONU. L’articolo in versione integrale su www.fuoriluogo.it.