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Introduzione
Nel 2009 ricorrerà il centenario del primo accordo mondiale, raggiunto a Shanghai, sulla riduzione del consumo e della produzione di oppio. La Cina, all’epoca ancora una nazione feudale estremamente povera, destinava all’oppio – che importava attraverso i commercianti britannici – gran parte della sua capacità d’importazione. Questi commercianti vendevano ai cinesi il loro oppio indiano a buon mercato in cambio di argento puro, e avevano alle spalle quasi due secoli di arricchimento, grazie proprio all’oppio. Gli Stati Uniti, un paese ancora giovane, cercavano di conquistare questo ricco mercato. Allo stesso tempo, le idee proibizioniste su alcol e oppio si andavano diffondendo in tutto il pianeta. Stava nascendo la malattia americana. [2] In successive analisi della storia delle politiche repressive su alcol e droghe, sono state coniate altre definizioni della malattia americana. Quello più appropriato, non legato in sé a nessuna nazionalità, è il “movimento della temperanza”. Esso concerne un gruppo di movimenti, presenti prevalente in un gruppo di nove nazioni. In seguito esse sarebbero state identificate come un gruppo ben preciso: il gruppo delle nazioni in cui la cultura della temperanza avrebbe promosso politiche repressive di ampia portata sulle sostanze mediche e ricreative. [3] L’impatto sul pianeta di queste culture della temperanza è stato variabile: da forte a quasi nullo. Tale oscillazione sarà l’oggetto della nostra analisi, perché essa e al cuore del rapporto che discuteremo. La Svezia rappresenta il punto più sgradevole e fondamentalista di questa oscillazione. Policy-makers e popolari ideologi hanno sviluppato in Svezia una loro logica, un loro linguaggio politico e una loro versione della storia delle droghe allo scopo di dire a se stessi che nessun’altra politica è possibile. [4]

L’Unodc nel 2006
Dopo anni di cattiva gestione, l’Unodc non solo ha il difficile compito di riconquistare un proprio status, ma mira anche a far rinascere un atteggiamento fideistico nei confronti del suo “core business”, il business della lotta alla droga. Come il suo direttore, Antonio Costa, giustamente osserva nelle frasi di apertura del rapporto sulla Svezia: “Sempre più persone sperimentano le droghe, e sempre più persone divengono consumatrici abituali…”. Dunque, a livello europeo, si osserva che le politiche sulle droghe non sono riuscite a contenere un “problema diffuso” (p. 5). Il rapporto che qui discuteremo va letto tenendo conto del calo dei consensi registrato in tutto il mondo nei confronti delle attuali politiche proibizioniste. A mio parere esso non è animato da un’ambizione puramente scientifica – è troppo maldestro e primitivo per questo – ma corre in soccorso dei disorientati funzionari che dovrebbero portare avanti la lotta alla droga e che sono alle prese con l’evidente aumento del consumo e della produzione in tutto il mondo, e con la stupefacente inadeguatezza delle politiche globali. Il rapporto va considerato un tentativo sincero di sostenerli. Il rapporto sulla Svezia è “una rapida valutazione basata su documenti pubblici e integrata da documenti di fonte governativa e informazioni ottenute da esponenti del governo stesso” (p. 7). Perché l’Unodc ha scelto la Svezia come esempio? “…Nel caso della Svezia, colpisce l’evidente associazione tra la severità della politica sulle droghe e i bassi livelli di consumo” (p. 7). “La politica sulle droghe svedese è estremamente efficace nel prevenire il consumo di droga…” “…l’analisi delle fluttuazioni dei tassi di abuso dimostra che i periodi in cui i livelli di abuso di droga osservabili nel paese scendono corrispondono ai momenti in cui il problema droga è stato considerato una priorità” (p. 7). Così, se per caso dubitavamo che le politiche di controllo incidano sui livelli di consumo, dovremmo studiare l’esempio della Svezia: il messaggio del rapporto sembra essere questo. Oltre naturalmente al fatto che se le nostre politiche di controllo non sono buone, o non lo sono abbastanza, avremo problemi con le droghe! Il direttore dell’Unodc Costa ha detto, in occasione del lancio del World Drug Report 2006, che ogni stato ha il “problema droga” che si merita. Costa ripete questa osservazione nel rapporto sulla Svezia, dicendo che “ciascun governo è responsabile delle dimensioni del problema droga nel suo paese. Spesso le società hanno il problema droga che meritano” (p. 5). Dunque, questo rapporto dell’Unodc è stato confezionato su misura per portarci a concludere che la lotta alla droga funziona e che la sua mancanza si tradurrebbe in un peggioramento del “problema droga”. Vediamo come è fatto questo prezioso rapporto, e se è in grado di superare il test rappresentato dalla formulazione di semplici domande. Procederò a selezionare alcuni esempi su come è stato realizzato. Se il lettore vuole avere una panoramica completa, è meglio che legga il rapporto per intero. Ma poiché il sistema utilizzato è lo stesso dappertutto, non ha molta importanza quali esempi saranno scelti. Per cominciare: il “problema droga” non è definito in modo chiaro e può consistere in qualunque cosa l’Unodc pensi. Così, esso è definito come il livello di uso di droga nella popolazione, o in determinate fasce di età. Questo materiale è supportato da livelli di “consumo pesante” o abuso di droga, una categoria anch’essa priva di definizione. Nel rapporto i termini “uso” e “abuso” sono usati in modo interscambiabile riproponendo così una fonte di confusione ormai abituale in tanti testi che trattano il “problema droga”. Il primo problema riguarda evidentemente i dati prescelti. Non intendo l’affidabilità dei dati, che è un grandissimo problema in sé (non discusso nel rapporto). Intendo che è lasciata agli autori la scelta dei dati presentati per sostenere il successo della Svezia. Poiché non esiste una teoria chiara su quali dati siano necessari per fornire una descrizione (standard) della situazione in un paese relativamente alle droghe, non possiamo biasimare l’Unodc per questo. Semplicemente, viene usato lo spazio di manovra offerto dalla mancanza di chiarezza scientifica o di standard condivisi. [5] Così, il livello di consumo in Svezia è definito ricorrendo a molte tabelle sui consumi di droghe (cannabis), in particolare con studenti quindicenni o militari di leva diciottenni. In pochi altri luoghi vengono forniti i dati sulla prevalenza per la popolazione svedese tra i 15 e i 75 anni di età. Tutti questi dati vengono poi raffrontati solo alcune volte con quelli di altri paesi; nella maggior parte dei casi essi sono invece messi a confronto con la media europea, così come riferita dall’Osservatorio europeo di Lisbona (Emcdda). Ad ogni modo, se si studiano le tabelle sui consumi fornite dall’Emcdda, come il consumo nell’ultimo anno di canapa per la fascia di età 15-34 anni, non può sfuggire il fatto sconcertante che 14 paesi su 19 presentano cifre sulla prevalenza inferiori alla media europea. [6] Dunque, in teoria, è possibile produrre un rapporto dell’Unodc intitolato “Il successo della politica sulle droghe in Olanda” poiché su molti indicatori di consumo di droghe e alcol e sul numero di “consumatori pesanti” osservati in trattamento, l’Olanda produce indicatori che sono (ben) al di sotto della media europea, e molto al di sotto degli Usa o dell’Australia. Proprio come la Svezia. Analogamente, l’Unodc potrebbe produrre una serie di rapporti intitolati “La catastrofe della politica sulle droghe” della Francia, del Regno unito o della Repubblica Ceca o degli Usa, perché questi stati membri dell’Onu presentano indicatori di (alcuni) consumi che sono più alti o molto più alti della media europea. Invitiamo l’Unodc a redigere rapporti di tal fatta, appena possibile. La Svezia è anche elogiata per le ingenti risorse che destina alla prevenzione del consumo di droghe e, in generale, alla politica sulle droghe. Ma la Grecia (una cultura profondamente diversa da quella dell’Olanda, o della Svezia), non spendendo per le politiche sulle droghe quasi niente (meno di tutti i paesi dell’Unione europea), presenta cifre ancora più basse di quelle della Svezia (se si sceglie di credere ai dati della Grecia). Guardando le altre cifre sulla Svezia, quelle che non sono menzionate nel rapporto dell’Unodc, si può osservare che in Svezia vi sono livelli relativamente bassi di uso di alcol, e livelli bassi di uso di tabacco. (In Svezia il consumo annuale di alcol puro è pari a sette litri, mentre in Olanda e in Grecia è pari a dieci. La percentuale dei fumatori quotidiani in Svezia è il 16%, a fronte del 30% in Olanda e di quasi il 40% in Grecia). Inoltre gli svedesi usano relativamente pochi farmaci, spendendo per essi meno di quasi tutti gli altri paesi dell’Ue (il 7% delle spese sanitarie. L’unico paese che spende di meno è la Norvegia, con il 6%. I danesi spendono il 12%! Il miglior cliente dell’industria farmaceutica è la Spagna, con il 23%). [7] Perciò, per non cadere nella trappola di una discussione minuziosa dei dati usati nel rapporto dell’Unodc sulla Svezia, vorrei sottolineare che non ha alcuna base scientifica l’assunto di partenza di questo rapporto, è cioè che i bassi livelli di consumo registrati dalla Svezia in una serie di indicatori sul consumo ricreativo di sostanze siano dovuti alla politica sulle droghe praticata in questo paese. Forse! E, per semplificare il discorso, evitiamo di addentrarci in una discussione sulla qualità dei dati. Ma se si propone questo collegamento, come il rapporto dell’Unodc fa esplicitamente, si dovrebbe proporre almeno qualche evidenza che tra i due fenomeni vi sia un rapporto di causa-effetto, e spiegare perché. Queste evidenze sono assenti in modo così totale, che ci si potrebbe domandare se il rapporto non debba essere considerato un documento religioso avente lo scopo di rafforzare un atteggiamento fideistico nei confronti delle politiche di controllo, più che uno strumento scientificamente rigoroso e chiarificatore.

L’altra tesi: le politiche di controllo dei consumi sono irrilevanti per i livelli di consumo di droghe
Forse la politica sulle droghe della Svezia è soltanto un fenomeno a sé, vicino ai bassi livelli di consumo di alcol e droghe, che esprime una cultura della temperanza ma non la determina. In altre parole, anche se fosse possibile per gli svedesi adottare delle politiche meno estreme, la loro cultura della temperanza produrrebbe livelli bassi di consumo intossicante: più bassi di alcuni paesi, ma non di tutti. I greci presentano anch’essi bassi tassi di consumo di alcol e droghe, ma questi ultimi derivano da una serie di caratteristiche e determinanti culturali o demografiche completamente diverse, così come avviene per gli olandesi. Niente contraddice la tesi secondo cui le politiche sulle droghe, quali che esse siano, hanno poco a che vedere con il determinarsi della situazione esistente, per quanto riguarda droghe e alcol. Per l’Unodc, persino il semplice prendere in considerazione questa nozione di “costruzione culturale” sarebbe un disastro, perché essa aprirebbe la strada a un’analisi scientifica dei consumi, separandola dall’analisi ideologica che piace all’Unodc. E questa nozione invaliderebbe completamente la convinzione di Costa secondo cui i paesi hanno il problema droga che “meritano”, se si allontanano dall’ortodossia delle politiche repressive. Un altro modo di guardare la cosa sarebbe correlare le variabili demografiche e culturali a una situazione di consumo locale. Ad esempio, in Olanda la ricerca epidemiologica ha dimostrato che i livelli di consumo di cannabis nelle regioni urbane densamente popolate del paese sono quasi quattro volte superiori rispetto a quelli osservabili negli spazi aperti delle zone rurali. In altre parole, all’interno di un singolo paese con un politica sulle droghe fortemente omogenea, le differenze tra i diversi livelli di consumo possono essere più alte che tra paesi diversi, caratterizzati da politiche sulle droghe fortemente differenziate. Inoltre, ad Amsterdam la prevalenza life-time di cannabis è circa il doppio rispetto a Rotterdam, nonostante le identiche politiche sulle droghe in vigore. [8] In Olanda la crescita della popolazione urbana è stata alta dal 1975 fino al 2005, con livelli oscillanti dallo 0,5% ad oltre l’1% all’anno. In Svezia, durante questo periodo, la crescita urbana è stata inferiore allo 0,1% all’anno (con l’eccezione del periodo 1990-1995, con lo 0,17% di crescita urbana, esattamente quando l’uso di droghe è cresciuto in Svezia). [9] Sarebbe interessante sviluppare una linea di ragionamento in cui la proporzione tra popolazione urbana e rurale, e la sua trasformazione, possano essere viste come una variabile demografica che influisce sui livelli di consumo di sostanze e sulla nascita di stili di consumo, a prescindere dalle “politiche sulle droghe” intraprese. Un’altra variabile demografica potrebbe essere la proporzione degli anziani nella popolazione. In Grecia, dove l’uso di canapa è il più basso di tutta l’Europa, il 44% della popolazione (in rapporto alla forza lavoro) ha 65 anni o più. In Svezia il consumo è leggermente più alto, e il 33% della popolazione ha più di 65 anni. In Olanda l’uso di cannabis è leggermente più alto, e il 24% della popolazione ha più di 65 anni (in rapporto alla forza lavoro)! La possibilità di esaminare ipotesi ragionevoli che mettano in relazione i livelli di consumo delle droghe con variabili economiche, demografiche o culturali non è neanche cominciato. Ma studi di questo genere ci aiuterebbero a rispondere a domande sul perché i livelli di consumo variano così tanto in Europa, e all’interno dei singoli paesi.

I costi delle politiche sulle droghe: ce ne sono?
Il rapporto Unodc sulla Svezia non tace completamente sui costi della politica repressiva svedese. Vi si parla dei finanziamenti di cui ha bisogno, e vi si parla inoltre dell’alta percentuale di consumatori pesanti (e gravemente marginalizzati) che sono sottoposti a trattamenti, obbligatori e non. Il rapporto mostra anche che la proporzione di consumatori ad alta intensità/alta frequenza non è marcatamente diversa in Svezia rispetto alla maggior parte degli altri paesi dell’Ue. Nel rapporto si cita anche l’alto numero di morti per droga che fa parte del contesto svedese, ma si osserva che esso è diminuito “Da 403 casi nel 2001 a 385 casi nel 2003” (p. 33) per sottolineare il tono positivo sulle politiche svedesi. Purtroppo il tema delle morti per droga non è ulteriormente approfondito. Questo ha portato Ted Goldberg a osservare: “Le cifre usate dall’Unodc sulle morti per droga sono fuorvianti. Peter Krantz, un medico legale (ossia un medico che fa le autopsie) ha studiato le statistiche sulle morti per droga così come rivelate dalle autopsie. Egli ne ha trovate 296 nel 2000 e 425 nel 2002. Per darvi un’idea su quanto sia alta la cifra di 425 morti, in un paese delle dimensioni della Svezia: ciò significa 1,2 morti al giorno in un paese dove 1,5 persone al giorno muoiono a seguito di incidenti stradali. E naturalmente non sono i consumatori ricreativi a morire. La nostra politica sulle droghe è in effetti una ragione importante per cui così tanti consumatori problematici muoiono. Questo lo facciamo escludendoli ulteriormente dalla società, costringendoli a sottoporsi a trattamenti privi di senso e repressivi, facendo nascere in loro la paura di contattare le autorità, ad esempio, in caso di overdose, ma non fornendo sale di iniezione dove possano avere a disposizione tempo sufficiente per iniettare solo una parte della sostanza, aspettare e vedere che cosa succede, in modo da non andare in overdose, e dove vi sia del personale qualificato, ecc. La nostra politica sta di fatto uccidendo le persone, e non sta salvando vite umane”. [10] Il tema delle morti per droga non è trattato nel rapporto Unodc in parallelo allo stesso tema negli altri paesi (contrariamente alla overdose di comparazioni del consumo nei quindicenni). Sappiamo che la variabile “morte per droga” non è molto precisa e che qui sono in gioco questioni serie e irrisolte che riguardano la registrazione, la definizione e il calcolo, insieme a tutte le altre variabili non standardizzate nell’epidemiologia del panorama del consumo di droghe. Ma se ci fidiamo dei talenti nel calcolo dell’Emcdda, abbiamo quantomeno una visuale dei dati sulle morti per droga che ciascun governo fornisce agli azionisti internazionali dell’industria del “problema droga”. L’Emcdda riferisce un minor tasso di morti per droga (drd) rispetto all’Unodc per l’anno su cui sono calcolati i raffronti, il 2002 o intorno al 2002. Riferisce che la Svezia ha la stessa proporzione di morti per droga della Grecia, 18 per milione di abitanti (l’Olanda ne ha sette, il Regno unito 55) riportando 160 morti per droga per il 2002. L’Unodc, Goldberg, ma anche Lenke e Olson citano un numero molto più alto perché includono altri tipi di morte per droga, e non solo l’overdose. L’Unodc parla di 391 morti per il 2002, Goldberg parla di 425 morti per il 2002, Lenke e Olson [11] parlano di 350 morti per il 1999. Accettare questi numeri farebbe più che raddoppiare il tasso per milioni di abitanti in Svezia e porterebbe questo paese, da una posizione relativamente intermedia nei confronti di altri paesi, ad una posizione elevata. Una questione drammatica che non è affrontata affatto è il grande potere della speciale polizia antidroga. A Stoccolma i poliziotti danno la caccia ai consumatori per notti intere, li fanno salire nei loro furgoni prelevandoli dalle strade e dai caffé. Possono entrare in un bar, guardare una persona negli occhi, fermarla e portarla in caserma dove le sarà fatto un prelievo di sangue contro la sua volontà. In Svezia il terrore della polizia sulla popolazione è attentamente coltivato ed è considerato un elemento necessario nella caccia alle streghe contro questo nemico alieno, le droghe. Nel 2003, a Lisbona, in una emozionante comunicazione al pubblico il presidente della neonata Associazione dei consumatori svedesi chiese una riforma della politica sulle droghe in Svezia per i problemi che crea in tutti i consumatori, e in particolare per i cosiddetti “consumatori pesanti”. Auspicò la creazione di programmi di scambio siringhe e un aumento della disponibilità del metadone, attualmente distribuito in modo insufficiente. [12] Stahlenkranz disse anche che i consumatori pesanti “a volte evitano di chiamare un’ambulanza perché hanno troppa paura di attrarre l’attenzione degli assistenti sociali o della polizia”.

Discussione
Harry Levine scrive che gli svedesi usano molto meno alcol di altri paesi “ma se ne preoccupano molto di più di quasi tutti gli altri, fatta eccezione per i paesi nordici e per alcuni paesi anglofoni” (comunicazione personale), illustrando così la sua ben nota osservazione sul carattere specifico delle culture protestanti della temperanza in relazione all’uso di alcol e droghe. Lo stesso studioso scrive in una comunicazione personale. “È importante capire che il modello nordico sull’alcol è stato recentemente scosso da onde sismiche. Queste hanno costretto le società nordiche a riconsiderare radicalmente cent’anni di politiche sull’alcol orientate alla temperanza”. Un gruppo di ricercatori, finlandesi ma anche di altri paesi, ha scritto un libro intelligente e interessante su questo tema con il significativo titolo: Broken Spirits. Power and Ideas in Nordic Alcohol Control. Stanton Peele scrive sui paesi della temperanza nella sua recensione di Broken Spirits: “Broken Spirits definisce la creazione, dopo la prima guerra mondiale, dei monopoli moderni sull’alcol nei paese nordici, compresa l’Islanda, “uno spettacolare esperimento storico del controllo sociale”. [13] Questa osservazione è pienamente applicabile anche al tipo di proibizione sulle droghe prodottasi in questi paesi, essendo essa subordinata allo stesso fondamentalismo repressivo dei paesi nordici. Queste osservazioni di Levine e Peele ci suggeriscono che, dietro la brutale pervicacia esibita nella difesa della guerra alla droga dei fondamentalisti svedesi, potrebbe esserci in parte il declino delle politiche di controllo sull’alcol, sia in Svezia che in altri paesi nordici. L’Unodc vuole vedere questa pervicacia applaudita, e temiamo che userà l’anno 2009 per promuovere la Cina allo status di eroe della lotta alla droga, nonostante i disastri che essa sta creando in relazione ai diritti umani cinesi (persino più gravi che in Svezia o negli Usa). Non saremmo sorpresi se l’Unodc sostenesse in un rapporto che le politiche di controllo del consumo di droghe in Cina sono eccellenti, danno ottimi risultati e il numero di esecuzioni pubbliche degli spacciatori sta diminuendo da 1909 a 1896 all’anno! È giunto il momento di un bel giro di giostra a Shanghai.

Note

1 “Sweden’s succesful drug policy” UNODC june 2006

2 David Musto The American disease. Origins of Narcotic Control 1973 Yale University Press

3 Harry Gene Levine “Temperance Cultures: Alcohol as a Problem in Nordic and English-Speaking Cultures” in Malcom Lader, Griffith Edwards, e D. Colin Drummon (ed) The Nature of Alcohol and Drug-Related Problems. New York: Oxford University Press, 1993, pp.16-36

4 Boekhout van Solinge, Tim (1997), The Swedish drug control policy. An in-depth review and analysis. Amsterdam, Uitgeverij Jan Mets/CEDRO. http://www.cedro-uva.org/lib/boekhout.swedish.html

5 Finora non abbiamo per le droghe ciò che abbiamo per l’economia, un profilo standardizzato degli indicatori economici così come forniti dalla Banca mondiale o dall’Ocse (Oecd). Gli indicatori economici sono stati essi stessi standardizzati. Ad esempio, l’Ocse fornisce comparazioni tra calcoli “standardizzati” della disoccupazione di una nazione allo scopo di aggirare la grande varietà di dati che i singoli governi forniscono sulla “disoccupazione”. Dedicando delle istituzioni alla produzione di indicatori metodologicamente omogenei, i raffronti diventano possibili. L’Emcdda a Lisbona avrebbe dovuto fare questo per le droghe, ma non ha i finanziamenti né la struttura per poter fare questo. Forse i profili sui consumi di droghe dovrebbero essere prodotti dall’Ocse, data la difficoltà di produrre dei profili a partire dagli indicatori. Per i prodotti farmaceutici e per la produzione l’Ocse fa già un ottimo lavoro.

6 http://annualreport.emcdda.europa.eu/en/elements/fig23-en.html

7 Tutti questi dati provengono da: OECD Health Data 2006.

8 Abraham, Manja D. (1998), Drug use and lifestyle: Behind the superficiality of drug use prevalence rates. CEDRO Univ of Amsterdam http://www.cedro-uva.org/lib/abraham.drug.html Abraham, Manja D., Hendrien L. Kaal, & Peter D.A. Cohen (2002), Licit and illicit drug use in the Netherlands 2001. Amsterdam: CEDRO/Mets en Schilt. http://www.cedro-uva.org/lib/abraham.npo01.html

9 United Nations Urbanization Prospects:the 2005 revision population database http://esa.un.org/unup/p2k0data.asp

10 Ted Goldberg Ph.D, University of Stockholm, comunicazione personale. Si veda anche Goldberg: “The evolution of Swedish Drug Policy” Jrnl of Drug Issues 2004 pp. 551-576.

11 Leif Lenke e Borje Olsson, University of Stockhom: “The drug policy relevance of drug related deaths” in Henrik Thamm, ed: “Review of Swedish drug policy” Senlis Council 2003

12 Berne Stahlenkranz, Stockholm: “The tragic outcome of Sweden’s dream of a good drug free Society” Lisbon 2003 Senlis Council. Stahlenkranz parla di “misure estreme” in Svezia da un punto di vista che non è mai menzionato in studi sulle politiche svedesi, la prospettiva del consumatore. Raccomando agli organizzatori di conferenze di invitarlo e di chiedergli alcune delle sue descrizioni della attività di polizia a Stoccolma. Egli non ha mai usato i termini nazista o razzista, ma l’ho fatto io, prima di chiedergli di non dirmi più niente.

13 Whose Spirits Have Been Broken Anyway? Review of Broken Spirits: Power and Ideas in Nordic Alcohol Control

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    SWEDEN’S SUCCESSFUL DRUG POLICY: A REVIEW OF THE EVIDENCE
    Aggiunto in data: 25 Marzo 2020 16:26 Dimensione del file: 2 MB Download: 1648