E’ stata appena ultimata la prima ricerca sulla percezione dei consumatori di cocaina circa l’uso “controllato” e “incontrollato” e sulle strategie di “autoregolazione” (sulla quantità di sostanza, la frequenza e le circostanze del consumo) che essi cercano di adottare. La ricerca primariamente qualitativa, condotta da Forum Droghe e Cnca, finanziata dalla Regione Toscana, ha interessato 115 consumatori toscani che consumano con una certa regolarità: sono giovani che rientrano nella “normalità” per livello d’istruzione e per inserimento professionale e sociale. La gran parte non ha mai avuto contatto coi servizi per le dipendenze.
Non c’è spazio per illustrare uno studio così ampio, mi limito ad indicare alcuni risultati più originali, in controtendenza alle credenze più diffuse. In primo luogo, l’evoluzione del consumo nel tempo: la traiettoria “patologica” di escalation progressiva del consumo riguarda una minoranza di persone (il 13%). La stragrande maggioranza riporta traiettorie variabili, con periodi d’uso più intenso alternato ad uso sporadico o non consumo, spesso correlati a circostanze esterne (nuovi giri di amicizie, nuovi impegni di vita che richiedono la massima concentrazione e dunque rendono l’uso di cocaina disfunzionale e non più appetibile); oppure con un aumento fino ad arrivare ad un picco, per poi diminuire: molti di questi consumatori dicono di avere “imparato” a usare con moderazione la sostanza, dopo avere sperimentato i molti effetti negativi della cocaina usata intensivamente. In sintesi, emerge che l’uso di droga non è spiegabile solo con le proprietà additive delle sostanze: i consumatori cercano di apprendere dall’ambiente sociale e dalla propria esperienza le regole di “controllo” per far sì che i consumi non influenzino negativamente gli impegni quotidiani.
La capacità di “imparare” dei consumatori è confermata dalla generale tendenza alla moderazione: negli ultimi sei mesi, il 34,8% ha usato meno di una volta al mese, il 27,8% almeno una volta al mese ma meno di una volta a settimana, solo un consumatore riporta il consumo quotidiano (mentre durante il periodo di maggior consumo, l’uso quotidiano riguardava il 47,8% e solo il 5,2% consumava meno di una volta al mese).
Questo filone di studi, inaugurato dallo psichiatra di Harvard Norman Zinberg negli anni ottanta e proseguito anche in Europa, è giunto da noi in ritardo e con molte resistenze: dovute al fatto che non i danni della droga sono in primo piano, quanto piuttosto le risorse, individuali e sociali, di controllo e di riduzione dei rischi dei consumi. E’ un terreno considerato “politicamente scorretto”, dietro l’accusa di “incentivare” addirittura i consumi.
Eppure, lo studio dei controlli è utile non solo sul piano della conoscenza dei vari e diversi stili di consumo, non tutti assimilabili all’uso dipendente; ma anche sul piano clinico, se è vero che molti consumatori passano attraverso picchi di consumo, ma la maggior parte è in grado “naturalmente” di diminuire i consumi e una buona fetta di passare all’astinenza. Conoscere e sapere assecondare le strategie di step down dei consumatori è un patrimonio prezioso per i servizi di cura. Per capire come e perché alcuni perdono il controllo, dobbiamo sapere come e perché molti altri riescono a conquistarlo ed eventualmente a riconquistarlo.