Dopo che la cannabis e i suoi derivati sono entrati in Tabella 2 (sostanze ammesse agli usi medici, nel decreto Balduzzi); dopo la registrazione del Sativex, assai costoso e con indicazioni assai restrittive; dopo le vicende di varie leggi regionali respinte o ridimensionate dal governo centrale, il governo Renzi ha dato via libera alla legge dell’Abruzzo per la cannabis terapeutica. Questa legge prevede l’uso della cannabis dietro ricetta del medico di base, previo piano terapeutico dello specialista volta per volta competente a seconda del tipo di patologia (p.e. l’oncologo per i pazienti sofferenti per gli effetti di chemio- e/o radioterapie; il neurologo per i pazienti con disturbi sensoriali, dolori e spasmi da sclerosi multipla e altre neuropatie). I costi sono a carico della Regione, che può sottoscrivere convenzioni per le forniture con produttori sinora autorizzati a coltivazioni e lavorazioni sperimentali. Tra questi, spiccano per la loro qualificazione lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, ricco di competenze chimico-farmaceutiche e farmacologiche, e il Cra di Rovigo, ente pubblico vigilato dal Ministero delle politiche agricole, che da diversi anni sperimenta colture di cannabis di vario tipo e con diversi profili di principi attivi; ma che sinora è stato costretto a distruggere tutti i suoi preziosi prodotti.
L’impiego della cannabis è stato sinora possibile solo dietro richiesta caso per caso di “uso compassionevole”, che comporta pratiche defatiganti, lunghe attese e costi spesso elevati. Dopo il decreto Balduzzi, sono scesi in campo i laboratori galenici che dietro ricetta medica per preparazione galenica magistrale hanno iniziato a commercializzare soprattutto il Bedrocan: tuttavia a caro prezzo, data anche l’esigenza di sconfezionare e riconfezionare i prodotti importati (altrimenti si tratterebbe di specialità non registrate e quindi illecite). Con un po’ di buona volontà delle Regioni questi percorsi a ostacoli possono essere ora chirurgicamente bypassati ricorrendo alle competenze dei servizi farmaceutici delle Regioni stesse e delle singole Asl. A tale scopo basterebbero provvedimenti che autorizzino l’acquisto all’ingrosso, da venditori adeguatamente accreditati, dei prodotti della cui confezione e distribuzione i suddetti servizi potrebbero farsi carico (analogamente a come operano i laboratori galenici, ma a costi finali più contenuti).
Ma occorre anche pensare a una nuova legislazione sulle droghe che contenga regole per la coltivazione in Italia della cannabis e per la sua lavorazione ai fini della produzione dei vari tipi di derivati. I mezzi non mancano: vaste superfici di terreno sono coltivate a tabacco (o lo erano e sono già passate a altre colture, a partire da quelle di piante medicinali); vi sono aziende all’avanguardia nel campo dell’erboristeria, con moderne filiere di lavorazione che garantiscono con un minimo scarto i contenuti di principi attivi. Questo tra l’altro è un buon argomento anche a favore della legalizzazione controllata a scopo ricreativo: non avrebbero più ragion d’essere gli avvertimenti terroristici sui rischi dei prodotti a contenuto ballerino di principi attivi. Infine, la regolamentazione della produzione nazionale, mirata sia a soddisfare il fabbisogno interno che all’ esportazione, oltre agli ammalati e ai loro terapeuti, oltre a chi come noi sostiene una legalizzazione controllata di tipo uruguaiano, dovrebbe vivamente interessare anche i ministri dell’economia e delle politiche agricole, che quotidianamente ci affliggono coi piagnistei sui settori di loro competenza.