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Dagli ultimi dati resi disponibili nell’ambito delle attività previste per il Dipartimento della prevenzione del ministero della Sanità dal Testo Unico sulle tossicodipendenze, si evince un quadro che conferma la tendenza nazionale osservata anche in altri ambiti della Pubblica Amministrazione: stabilizzazione dei consumi di eroina; crescita dei consumi delle nuove droghe; modificazione e innalzamento di età nel quadro della cronicità da grandi dipendenze; offerta di servizi pubblici e privati in costante leggero aumento, ma a macchia di leopardo sul territorio nazionale e con caratteristiche di programmazione fortemente localistica; leggerissimo incremento di trattamenti metadonici (utilizzati nel 40,6% dei casi) dentro alle terapie socio riabilitative. Se ne desume la necessità che, soprattutto in considerazione della spinta verso la regionalizzazione e l’aziendalizzazione delle competenze, le esperienze locali trovino spazi di comunicazione e messa in rete non episodica. E’ quanto fin qui non è avvenuto per ciò che riguarda, ad esempio, le cosiddette attività non convenzionali dei servizi pubblici per le tossicodipendenze (SER.T.), in cui sono compresi gli interventi cosiddetti a “bassa soglia” o di riduzione del danno. Le difficoltà conoscitive e di implementazione, legate, come viene detto nei vari rapporti del ministero della Sanità, all’iter magmatico dei finanziamenti legislativi del fondo antidroga, dopo svariati anni di discussione politica innovativa, sembrano aver partorito un topolino. Il nostro Paese non dispone, ancora oggi, di una fotografia attendibile e di una valutazione di queste attività. L’unico studio disponibile consiste in una “rapida rilevazione di dati” tramite scheda auto-somministrata inviata a tutti i SER.T. dal Dipartimento della prevenzione del ministero della Sanità in collaborazione col Coordinamento tematico delle Regioni, cui hanno risposto mediamente il 54,8% del totale dei servizi censiti. Da questa risposta quantitativamente ridotta, si evidenzia, tuttavia, già, una forte discrepanza tra le percentuali di attivazione degli interventi più generici (ormai considerati di competenza istituzionale dei SER.T., quali il counselling, e il test HIV), di cui si riferisce la presenza nel 94,2% dei casi e gli interventi più a bassa soglia (quali scambio di siringhe, unità di strada, distribuzione di profilattici), la cui quota numerica si attesta tra il 20 e il 25 per cento dei servizi censiti.

Risulta, altresì, nettamente al di sotto di quello coinvolto nei settori tradizionali, il numero degli operatori e degli utenti impegnati nei programmi di questo tipo, con una dimensione d’intervento di assoluta prevalenza locale, maggiormente visibile in Emilia Romagna e Friuli. Dato questo stato di cose, in quale quadro concettuale va inserita la dichiarazione del procuratore generale della Cassazione sull’opportunità di arrivare alla somministrazione controllata di eroina nei servizi per le tossicodipendenze? Occorre, almeno qui, evitare le semplificazioni giornalistiche, e la discutibile equazione, somministrazione controllata di eroina = nuovo permissivismo. L’invito alla riflessione evocato dal procuratore generale si inquadra piuttosto nella elaborazione avviata a partire dalla prima Conferenza nazionale sulla droga, dopo il referendum abrogativo del 1993, con la constatazione del fallimento delle strategie repressive di lotta alla droga e l’avviarsi anche in Italia, sul modello di quanto avvenuto già nel corso degli anni Ottanta in varie parti d’Europa, di un interesse per una politica di contrasto dei danni sociali provocati dalle tossicodipendenze, improntato alla riduzione del danno. Credo che la riduzione del danno non possa essere considerata solo come un insieme di attività aggiuntive ai tradizionali meccanismi di contrasto del fenomeno, né qualcosa che possa convivere indifferentemente in qualsiasi contesto concettuale o politico; essa non rappresenta un nuovo tecnicismo, ma un elemento che potrebbe radicalmente cambiare lo scenario, in cui si colloca in Italia l’approccio alla politica di controllo verso le droghe.

Difatti, la lotta alla tossicodipendenza ha rispecchiato molte caratteristiche culturali del nostro Paese e molte debolezze strutturali del nostro stato sociale. Si è identificato il tossicodipendente, non solo quale portatore individualizzato di una patologia sociale che si esprime in differenti gradi di dipendenza, della cui salute e benessere psico-sociale occorre occuparsi, difendendolo e tutelandolo, in vari modi; ma, piuttosto, quale espressione di una devianza inaccettabile, il cui recupero, coincidente con l’astinenza definitiva dalle droghe, dovrà condurre alla “redenzione” e alla revisione totale del progetto di vita. Il piano del recupero funzionale sanitario e sociale si è, quindi, oltremodo confuso con un obiettivo morale: l’astinenza dalle droghe. Così, altrettanto negli anni recenti, il piano del diritto penale e il terreno della morale si sono confusi e sovrapposti. Per questo, le alternative terapeutiche praticate sono in Italia assai limitate, prevedendo in sostanza piani di detossificazione o astinenza programmata, poco flessibili e quasi mai individualizzati, praticati o nei servizi pubblici o nelle comunità. L’inflessibilità delle alternative terapeutiche non si è tuttavia mostrata in grado di arginare il fenomeno, che è cresciuto numericamente nel tempo (anche se nell’ambito di una diversa distribuzione delle sostanze usate) e ha prodotto in modo crescente effetti di marginalizzazione e insicurezza sociale. Qui, a mio parere, si ravvisa l’ulteriore fallimento di uno Stato sociale paternalistico che vorrebbe mostrarsi autoritario ma che, sul piano dei risultati assistenziali e dei diritti esigibili, è alquanto deficitario e quindi poco credibile; del pari, si dimostra quanto mai indispensabile una torsione pragmatica e laicista sul piano delle opzioni terapeutiche. Qualcuno ha ricordato di recente come quello che oggi viene chiamato l’esperimento svizzero ha, in realtà, illustri precedenti nell’esperienza inglese, dove al medico di base è da sempre permesso di praticare una gestione del paziente con situazioni di dipendenza che non esclude l’utilizzo di diverse droghe e dove l’eroina, proprio per questo motivo, è ancora presente nella farmacopea ufficiale. In analogia a ciò, la possibilità di differenziazione delle terapie e il loro avvicinamento alla realtà soggettiva del paziente-consumatore, mi sembra il dato più stimolante che viene dal discorso del procuratore generale della Cassazione. In questo discorso, che viene da un esponente istituzionale di primo piano, vedo l’affermarsi di una positiva “coscienza del limite”, che invita ad abbandonare la falsa sicurezza della definitività delle cure e che potrebbe tradursi in una forte alleanza terapeutica tra la politica, coloro che forniscono servizi e gli utenti. C’è, poi, un ulteriore passo in avanti rispetto a visioni ideologizzanti delle cure che non hanno diritto a esistere in uno Stato moderno e che hanno caratterizzato il recente passato politico con nefasti risultati nel settore delle tossicodipendenze (ipertorfia del penale, elevatissima percentuale di popolazione carceraria con problemi connessi). In conclusione: una filosofia della prevenzione delle tossicodipendenze che adotti l’orizzonte della riduzione del danno non è riduzionista, né rinunciataria, bensì propende per la laicità terapeutica. E’ piuttosto consapevole che per vincere la battaglia contro la marginalità e l’alienazione sociale collegate alla tossicodipendenza, occorre evitare le rigidità, le scelte univoche (ad esempio comunità contro terapie farmacologiche), per concentrarsi sulla differenziazione dei servizi, sulla loro integrazione funzionale e, da questo, sul potenziamento della loro capacità di risposta; puntando oggi energie moltiplicate anche sugli interventi a bassa soglia. Ecco perché nessun intervento può essere escluso a priori e, in questo caso, il progetto di somministrazione controllata di eroina, anche in via sperimentale, può rientrare a pieno titolo nella strategia di differenziazione e individualizzazione dei trattamenti.

Monica Bettoni è Senatrice e sottosegretario alla Sanità