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Quali droghe sono in circolazione? Quante legali e quante illegali? Perché ci si droga? Domande che sem-brano essere molto scontate ma che non lo sono affatto, anzi gli addetti ai lavori devono aggiornare continuamente i propri campi d’indagine. Anche il superlavoro è stato considerato una forma di droga: la ricerca di uno “sballo” per mettere in stand by altri problemi del difficile mestiere di vivere. È possibile che la molla principale all’uso della droga sia il bisogno di emozioni forti o il desiderio di sentirsi forti.

Se provassimo ad assumere come ipotesi di lavoro che ci si “sballa” per provare emozioni, potremmo anche concludere che l’uso di droghe è maggiormente legato ad un tempo specifico, ai periodi più grigi e senza ideali. Il consumo di droghe potrebbe avere una causa collettiva e non essere solamente un fenomeno individuale. E se fosse la necessità di sentirsi forti e accettati bisognerebbe interrogarsi su come questa esigenza è stata soddisfatta in altri momenti e come in altre culture. I rave-party sono un tipico esempio di fenomeno collettivo, dove l’esaltazione si ottiene anche con l’uso di droghe. Un modo artificiale per avere l’effetto “sballo” di fronte a una musica martellante.
L’esaltazione e l’adrenalina si propaga anche in alcune assemblee politiche o nelle “convention” manageriali di alcune grandi società, pur senza (?) l’ausilio di droghe più o meno pesanti. La nostra società sembra fondarsi sull’esaltazione e sulle scariche d’adrenalina, perché stupirsi se alcuni trovano la via più rapida con l’uso delle droghe?
La società “malata” di illusione può essere legale e rispettata, come può essere illegale e marchiata a fuoco. La separazione è data dalla forma di eccesso da cui si è dipendente e dal ruolo che si assolve nella catena produttiva, commerciale e organizzativa.

Cercherò di delineare brevemente la catena produttiva e l’indotto del mercato illegale delle sostanze stupefacenti proibite. Il consumo di droga crea ricchezza, anche se illegale, e dà soddisfazione a persone insospettabili.

Sotto attività di copertura diventa quasi invisibile, con l’esclusione dalla catena produttiva legale. I guadagni illegali finanziano imprese legali e imprese illegali, fino alle organizzazioni terroristiche.
I consumi diretti di droghe sono già molto elevati (paragonabili da soli, secondo alcuni dati riportati in convegni specializzati, all’industria della raffinazione del petrolio) e creano una catena di attività e costi illegali e una serie di attività e costi legali che non avrebbero modo di essere: spese di processi e spese di detenzione; spese sanitarie dirette per sindromi legate all’uso di droghe; terapie dirette a tossicodipendenti; spese per attività di Intelligence e di contrasto…
Almeno il 30% dei detenuti italiani hanno subìto condanne per reati connessi a spaccio o sono tossicodipendenti che hanno cercato un ruolo attivo nell’economia illegale. Un costo insopportabile pari, solo per spese detentive, a circa l’equivalente di 800 milioni di euro nel ’98. Quante spese legali hanno generato e quanti legali sono specialisti dei loro problemi? Sicuramente quasi tutti i penalisti si dedicano in parte a reati connessi alla droga.

Ma quello che è più grave è il prezzo che pesa sull’economia sana per la società “malata” illegale.
I costi esterni ed indiretti sono la perdita di ore di lavoro e di capitale umano, che sfuma. Le intelligenze annichilite. I morti. Per non parlare dei guasti sociali e psicologici che un tossicodipendente provoca intorno a sé.
La competitività di un paese potrebbe essere anche misurata sulla base di quanto valore si distrugge per i consumi di droga. Compito dello Stato è misurarlo e monitorarlo con strumenti metodologici adeguati, eventualmente adattando, con opportuni progetti di ricerca, quelli utilizzati in altri settori.
L’economia malata non è solo illegale, ma quella illegale può essere ridotta utilizzando le esperienze maturate all’estero (depenalizzazione per eliminare il mercato nero) o nella lotta contro fenomeni analoghi (prevenzione di fumo e alcolismo).
Bisogna individuare azioni di prevenzione e di contrasto che mirino anche all’informazione corretta e capillare e alla percezione del rischio e presa di coscienza collettiva del problema, che non riguarda solo i consumatori di droga.
L’economia illegale conta su una capillare rete pari a circa 60-70.000 persone a vario titolo affiliate alla filiera commerciale. Non tutti fra loro conoscono la qualità del prodotto che vendono e dei danni che producono. Ancora meno ne sanno i loro clienti.

Una nuova campagna informativa dovrebbe rendere più rapido l’accesso alle strutture (bassa soglia non necessariamente per tossicodipendenti, assistenza) prima ancora della dipendenza. Prima del guasto maggiore.
Una campagna informativa efficace dovrebbe far affluire i consumatori “al primo stadio” verso le strutture, non solo quelle sanitarie, che sono invece organizzate solo per chi ha raggiunto la fase di dipendenza e guasti già profondi.

È fondamentale, pertanto, predisporre strumenti metodologici per la pianificazione di strategie e la valutazione degli interventi e delle politiche e renderli fruibili a quanti operano nel campo delle dipendenze, sia sul versante del contrasto che dell’assistenza e della prevenzione, al fine di sorveglianza e monitoraggio continui per il supporto alle decisioni.

È utile tenere presente che la mancanza di progetti di valutazione su vasta scala dell’impatto sull’economia e dell’efficacia degli interventi ha prodotto, non solo una generalizzata disinformazione e il continuo riproporsi di pseudo analisi basate su argomenti ideologici e moralistici, ma anche la scarsa attenzione alla qualità e completezza dei dati raccolti sui fenomeni droga-correlati.

La sfida è far comprendere alla nostra società che siamo di fronte ad un problema collettivo più rilevante di quanto viene percepito, anche dal punto di vista economico. Da questo la logica conseguenza che si deve cambiare politica e passare da una semplice azione repressiva/punitiva ad una più consapevole ed articolata azione di prevenzione.