Nel Regno Unito i dati relativi alla mortalità per overdose pubblicati lo scorso settembre dall’Office of National Statistic relativi ad Inghilterra e Galles sono implacabili, dal 2012 al 2015 il numero dei morti è raddoppiato. Nel 2012 i decessi correlati ad uso di oppiacei erano stati 579 nel 2015 sono tragicamente schizzati a 1201.
L’agenzia governativa Dipartimento per la Salute Inglese ha promosso immediatamente una ricerca sulla questione, che ha identificato fra le cause una maggior disponibilità di eroina – spesso di alta qualità – che avrebbe causato un numero maggiore di overdose, associata con una scarsa accessibilità ai farmaci salvavita come il naloxone. Fra le soluzioni suggerite dal Dipartimento nessuna particolare novità rispetto a quanto già dimostrato da tempo dalle evidenze scientifiche: interventi di riduzione del danno, servizi per il miglioramento delle condizioni di vita dei consumatori e sopratutto disponibilità al trattamento con oppiacei sostitutivi e naloxone.
La politica dell’astinenza
L’analisi si ferma lì, ma due giorni fa con un editoriale uscito sul British Medical Journal il prof. John Middleton, Presidente della fondazione Facoltà per la Salute Pubblica (FPH) insieme ai ricercatori indipendenti Sara McGrail e Ken Stringer, è intervenuto sull’argomento evidenziando che la ricerca del Dipartimento non ha tenuto in considerazione le motivazioni politiche da cui deriva la crisi inglese. Dal 2010 ovvero dal momento dell’insediamento del governo di coalizione di Cameron sono cambiate le politiche sulle droghe in Inghilterra, in particolare per i consumatori di oppiacei. Il nuovo indirizzo ha centrato l’obbiettivo dei trattamenti pubblici sull’astinenza. Questo ha causato un irrigidimento delle relazioni fra i servizi e i consumatori di eroina. A fronte di un certo numero di ‘successi’, ovvero persone che hanno mantenuto un’astinenza dai consumi di almeno 6 mesi, altrettanti sono quelli che si sono allontanati dai servizi. Inoltre a causa della riorganizzazione del settore che ha causato una cesura tra operatori territoriali e strutture regionale e nazionali, le competenze sugli interventi di riduzione del danno si sono piano piano perse e la disponibilità dei sostitutivi e dei farmaci salva vita è rimasta negli armadi degli ambulatori territoriali, irraggiungibile per coloro che non erano inseriti in programmi di trattamento per l’astinenza.
Le soluzioni proposte dal documento governativo sono utili ma non sufficienti, continua l’editoriale, l’esperienza degli ultimi anni ha dimostrato che se i servizi non sono facilmente accessibili, se non si interviene sulle condizioni di vita delle persone in difficoltà in un rapporto di fiducia che ne valorizzi le risorse personali, molti eviteranno il contatto con strutture sanitarie e i rischi per la loro vita aumenteranno. Fondamentale rimane la disponibilità per gli utilizzatori di oppiacei dei farmaci salvavita come il naloxone che dovrebbero essere a disposizione anche dei famigliari e degli amici delle persone interessate. E comunque sarebbe il caso che anche in Inghilterra si inaugurassero le prime stanze per il consumo sicuro, come ormai prassi in molti paesi e sulla scorta delle recenti nuove aperture a Parigi e Copenhagen.
L’uso del naloxone, l’esempio italiano
In Italia il numero delle morti causate dall’uso di stupefacenti negli ultimi 3 anni è stabile, intorno ai 320 casi anno. L’Italia ha giocato un ruolo pioniere nella distribuzione del naloxone come farmaco salvavita già dagli anni novanta, riuscendo a tamponare un periodo di emergenza “overdose” che sembrava inarrestabile. Da allora i casi di overdose da eroina ed oppiacei sono in calo, ma si possono salvare ulteriori vite come vuole dimostrare una ricerca ancora in corso promossa da Forum Droghe sull’uso del naloxone, la prima in questo senso in Italia. La ricerca vuole verificare quali potrebbero essere le azioni preventive salvavita, partendo dalle esperienze degli stessi consumatori “esperti”, oltre a monitorare quali sono i canali attraverso i quali il naloxone è disponibile, a partire dalle farmacie e la distribuzione dello stesso nei servizi di bassa soglia.
Rimane evidente che lo strumento principale per garantire non solo un intervento efficace di prevenzione e tutela della salute per le persone che utilizzano oppiacei, ma anche un contatto costante con i servizi socio sanitari, sono le stanze del consumo sicuro. L’Italia che ha sempre giocato un ruolo da protagonista negli interventi socio sanitari a favore delle persone in difficoltà rischia di essere ultima nell’allestimento delle “stanze del consumo sicuro” senza che vi sia alcun motivo apparente che ne impedisca l’adozione. Aspettiamo con ansia la declinazione dei servizi di Rdd garantiti nei Lea auspicando che possano mantenerci al passo con i tempi. In gioco ci sono vite umane.