Qualche giorno fa è stata pubblicata sul sito del Journal of Psychopharmacology l’anticipazione di uno studio effettuato su circa 1500 clienti di dispensari di cannabis della zona del New England. Il New England. l’area nota anche per i suoi splendidi colori autunnali, comprende 6 stati del nord est degli Usa fra cui il Maine e il Massachusetts, dove grazie alla recente vittoria referendaria è stata approvata la legalizzazione dell’uso ludico della marijuana. Il Massachusetts e soprattutto il Maine vantano una lunga tradizione anche per l’uso terapeutico della cannabis, la coltivazione per uso medico personale e la decriminalizzazione del possesso della modica quantità.
Lo studio ha evidenziato, attraverso interviste dirette, come coloro che erano abituati a fare un uso medico di oppiacei abbiamo diminuito i propri consumi a favore di terapie a base di marijuana (quasi il 77%), molti hanno rinunciato alle normali dosi di ansiolitici (71,8%), ai farmaci contro l’emicrania ed almeno un terzo ha ridotto l’utilizzo degli antidepressivi. Significativa la percentuale di coloro che hanno sostituito la cannabis ai farmaci sonniferi (65%). Questi dati non sorprendono e confermano le rilevazione di altri studi come quello del Dipartimento di Epidemiologia della Columbia’s Mailman School of Public Health.
Che l’utilizzo della marijuana per scopi terapeutici sia in evidente concorrenza con altri farmaci, spesso con effetti collaterali anche pesanti e con l’uso a volte “auto curativo” dell’alcol, è talmente evidente che alcune grandi ditte farmaceutiche e consorzi di rivenditori di alcolici si erano, più o meno apertamente, schierati contro la legalizzazione durante le campagne referendarie dello scorso autunno. Significativa la posizione della Insys Therapeutics produttrice del subsys fentanil, un antidolorifico 80 volte più potente della morfina, che ha finanziato i movimenti proibizionisti con sostanziose donazioni, in particolare in Arizona. La Insys aveva esplicitamente dichiarato lo scorso anno i propri interessi economici durante le audizioni con la commissione federale responsabile per la sicurezza e la regolamentazione del mercato negli Usa (United States Securities and Exchange Commission): la legalizzazione della libera coltivazione della marijuana anche per uso ludico avrebbe limitato le vendite del cannabinoide sintetico dronabinol e ridotto gli utili economici dell’azienda. Niente di strano per chi produce per scopo di lucro, ma evidentemente contrario al principio di tutela dei diritti di tutti i cittadini.
Negli stati americani che hanno legalizzato si registra un evidente aumento del consumo dei derivati della marijuana per uso terapeutico a discapito dei medicinali tradizionali. L’uso di cannabis o di altri prodotti derivati è particolarmente diffuso fra le persone mature che ne fanno un utilizzo mirato spesso ad alleviare piccoli dolori articolari, per facilitare il sonno o semplicemente al fine di concedersi un momento di rilassamento che allevi tensioni ed ansie. Secondo alcune rilevazioni le percentuali di coloro che hanno fatto uso di marijuana nell’ultimo anno fra gli adulti maturi (oltre 55 anni) sono passate dal 2.9% del 2002 al 9% del 2014, per gli ultra sessantacinquenni dal 0.2% al 2.1%. Fra gli adulti in generale siamo ad oltre il 13% nel 2016. Numeri che sembrano fare da contraltare alla lieve diminuzione registrata fra gli adolescenti. La cosa non è di poco conto, la legalizzazione infatti promuove immediatamente una conoscenza più approfondita delle sostanze ed un loro utilizzo più consapevole. I dati relativi ad esempio alle persone fermate alla guida sotto l’effetto della marijuana sono crollati in Colorado (paese che ha completamente legalizzato la cannabis) nei primi 3 mesi di quest’anno rispetto al 2016 come riportato dal Denver Post, questo malgrado ci sia ancora molto dibattito intorno a quali possano essere gli effetti dannosi alla guida per chi ha un consumo moderato di cannabis. Un segnale comunque di aumentata consapevolezza da parte dei consumatori.
I numeri e le rilevazioni sul fenomeno cannabis (a volte anche su piccole coorti) negli Stati Uniti si moltiplicano, producendo un interessante quadro; da segnalare la ricerca promossa da Yahoo News/Marist Poll da titolo: Weed and the American Family dalla quale emerge che la preoccupazione principale dei genitori per i figli è prima di tutto che non fumino sigarette; preoccupazione che sembrerebbe fondata se guardassimo ai risultati della ricerca sempre pubblicata dal Journal of Psychopharmacology (su ragazzi dai 15 ai 16 anni) che rileva come sia l’uso delle sigarette a peggiorare i risultati scolastici più che la cannabis. Questo dato non può che far riferimento più che alla sostanza assunta (nicotina o thc) ad una condizione di difficoltà dell’adolescente di cui il consumo non è che, in molti casi, un corollario.
Insomma dove la legalizzazione avanza sempre più si evidenzia la capacità di scelta dei cittadini, informati e senza tabù, capaci di un utilizzo della cannabis consapevole, utile e compatibile con la propria vita. Fra gli adolescenti, dove non si registrano al momento significativi aumenti di consumo negli stati che hanno legalizzato, la legalizzazione elimina gli alibi di coloro che indicano nella sostanza malefica l’origine di tutti i mali e forse apre nuove stagioni educative e di supporto.