Esce, per le edizioni Franco Angeli, Oltre la comunità (a cura di Manfré, Piazzi e Polettini), che presenta quanto anticipato in un conferenza stampa ripresa da tutti i media, e cioè i risultati stupefacenti del soggiorno nella comunità di San Patrignano.
L’obiettivo della ricerca
Si tratta di una indagine di follow-up, che analizza innanzitutto la ritenzione in trattamento di soggetti che sono stati ospiti della comunità: il 66% rimane in comunità per un anno, percentuale che scende al 53% al secondo anno e al 45% al terzo. Quanto al follow up, questo potrebbe prendere in esame molti dati, come il reinserimento nella vita lavorativa, affettiva, relazionale. Ma la ricerca si occupa di astinenza, e tutto il resto serve solo se con l’astinenza si correla. E inoltre: solitamente quando si fa un’ipotesi di ricerca ci si basa su aspetti – largamente condivisi o anche largamente dibattuti – dalla comunità scientifica internazionale, dichiarando da quali presupposti teorici si intende partire, sia pure per contestarli. Ma a San Patrignano non si fa così, ed è sorprendente l’assenza di riferimenti bibliografici nel testo: gli unici libri citati sono le tre ricerche precedenti sulla comunità. L’autoreferenzialità che si fa scienza.
La scelta dei partecipanti
Coloro che partecipano all’indagine sono, come ha fatto notare Cancrini su l’Unità del 26 settembre scorso, usciti da più vagli successivi, fino dall’ingresso in comunità, con una selezione sulle motivazioni e soprattutto con l’esclusione di quanti presentino sintomi di disturbo psichiatrico, a parte una finestra di bontà a maglie più elastiche la notte di Natale. Per inciso, questa esclusione appare piuttosto comoda, visto l’intreccio odierno di abuso di sostanze, disturbo psichiatrico e marginalità sociale. Dopo la selezione all’ingresso, nel follow up si selezionano i casi rimasti in comunità per il programma, suddividendoli ulteriormente tra quelli “usciti con consenso” e quelli “usciti senza consenso “; poi si individuano quelli rintracciabili, e poi quelli che decidono di farsi intervistare, e si arriva ad un numero di partecipanti così selezionati che l’alta percentuale di astinenza potrebbe anche non essere così eccezionale.
Il metodo
Si dice nell’introduzione che si intende aggiungere alle scienze sociologiche anche l’apporto delle “scienze dure”, e cioè l’analisi del capello per verificare se quando affermato dal soggetto sulla propria astinenza corrisponde a verità. Meglio non fidarsi troppo. E infatti abbiamo un terzo dei casi per cui le dichiarazioni non coincidono con i risultati della scienza dura. Da notare, tra l’altro, che la sostanza prima nelle ricadute non è la demonizzata canapa, ma la cocaina.
Gli strumenti
Niente da eccepire sulla “dura” analisi del capello, alla quale è affiancata un’indagine sociologica, la quale però indaga anche variabili chiaramente psicologiche come la fiducia verso gli altri, l’affettività, l’emotività, la dipendenza, il senso del limite e, invece di utilizzare questionari psicologici noti e largamente utilizzati in tutto il mondo (che permetterebbero, per esempio, la confrontabilità dei risultati), preferisce inventarsi item del tipo Dopo questa esperienza bisogna stare in guardia, oppure I limiti possono essere sfiorati purché si faccia attenzione. Ci sarebbero molti studi sul sensation seeking, la ricerca di sensazioni forti, a cui si potrebbe far riferimento, ma evidentemente non si considerano utili.
Alcuni risultati
L’influenza delle reti sociali prossime sulla ritenzione in trattamento è in linea con altri studi sull’argomento, se solo si potessero confrontare meglio, e se si riuscissero a verificare non solo i supporti sociali anagraficamente presenti ma anche quelli che gli individui percepiscono come tali. Una particolarità terminologica riguarda il significato attribuito ai “rapporti con la comunità”, che di solito si riferisce ai rapporti con il contesto e che qui invece indica – ovviamente – i rapporti con la casa madre.
L’alcool
Last but not least, uso e abuso di sostanze alcoliche. Si accenna al fatto che all’ingresso si accerta il consumo di alcool e droghe. In comunità – si dice – si fa uso (controllato) di alcool. Ma nell’indagine successiva l’alcool non è mai menzionato, non è un problema. Anche qui la differenza con gli studi sull’argomento appare vistosa. L’alcool è legale, è un prodotto italiano, e anche se fosse una droga “pesante” a San Patrignano non interessa. Sappiamo quanto pesi come dipendenza, compreso tra gli usciti da una comunità o da una istituzione totale, ma qui si tace, si esclude, si decide che non sia un rischio. Anche questo è davvero stupefacente.
Il “senso dello stato”?
L’antistatalismo è un fenomeno largamente diffuso e risalente a posizioni diverse. Tuttavia la svalorizzazione dei servizi pubblici che pervade il tema “aperto” su cosa dovrebbero fare le istituzioni per il reinserimento è notevole. L’ideologia di fondo – non solo tra gli utenti? – è che i servizi non abbiano valenza culturale, scientifica e perfino sanitaria (l’harm reduction è solo una strategia resi- duale), e che debbano essere unicamente erogatori di sussidi, di casa e lavoro, mentre il resto, come dire, va fatto fare a chi lo sa fare.