Siamo abituati a pensare che ciò che accade negli Stati Uniti, prima o poi, accadrà anche da noi: nulla sembra sfuggire a questa legge. Anche nel campo del consumo di sostanze psicotrope illegali, e dell’allarme mediatico e sociale che ne fa da corollario, essa si è parzialmente verificata, e proprio a proposito di metanfetamine, meglio note con i loro nomi d’arte, ecstasy, eva, adam, o per il logo impresso sulle pasticche, uccelletti, superman, smile.
La storia della molecola più nota di una famiglia che conta oltre 180 parenti, l’Mdma, è simile a quella di tante altre sostanze psicotrope. Nata nei laboratori di una delle più importanti ditte farmaceutiche europee come farmaco anti-appetito nel 1912, la 3,4 metilen-diossi-metanfetamina sarà poi brevettata nel 1914. Dopo sperimentazioni (anche a scopi bellici) ritenute insoddisfacenti, verrà riscoperta a metà degli anni ’70 da alcuni psichiatri nordamericani che la usano in psicoterapia per la sua straordinaria capacità di favorire la relazione terapeutica. Dal ristretto mondo degli psichiatri alla strada il passo è breve e l’Mdma, a partire dagli anni ‘80, verrà adottata dai giovani texani, cambierà il nome nel più accattivante Ecstasy e sarà universalmente conosciuta come Xtc. Nel 1984 la sostanza viene dichiarata illegale negli Usa. A 25 anni da tali eventi parlare di emergenza, come fanno alcuni giornali statunitensi, ha il sapore dell’anacronismo.
Sul finire degli anni ’80 inizia la storia delle metanfetamine in Europa: nel 1987 sbarcano a Ibiza negli zainetti dei dj nordamericani e, dall’isola delle Baleari, si diffonderanno in tutte le discoteche d’Europa. E in Italia? Gli anni ’90 saranno caratterizzati dalla techno generation, ragazzi e ragazze che abiteranno la notte in quello che Aldo Bonomi ha definito il “Distretto del piacere”, il cui epicentro è la Rimini dei grandi templi della techno culture. All’epoca, Renato Bricolo stimava in almeno 400.000 le persone coinvolte nel consumo di Ecstasy: un dato molto più alto, in proporzione, rispetto a quello degli Usa.
L’allarme sociale nel Paese raggiungerà il suo culmine nel novembre 1999, quando al “Number One” di Brescia muore il giovane Jannick Blesio, e le cronache parleranno di un decesso causato dall’ingestione di mezza pasticca di Ecstasy; evento che meriterà persino una indimenticabile puntata di Porta a Porta. In Italia però, per merito di una nuova generazione di operatori che, adottando una logica antropologica fatta di osservazione, ricerca, costruzione di partnership con gli attori della notte, reinventeranno gli interventi di prevenzione e riduzione dei rischi, il fenomeno assumerà una tematizzazione più complessa: l’attenzione si sposterà dalla singola droga (killer) a un policonsumo dove si giustappongono più assunzioni e dove l’alcol e il superalcol hanno un ruolo primario. Si evidenzierà che la ricerca di stati alterati di coscienza non appartiene solo a persone portatrici di disagio sociale o individuale, e che le metanfetamine non hanno uno stile o una frequenza di assunzione uguale per tutti.
Lavorare su un fenomeno nuovo, spesso senza strumenti adeguati (in Italia non si può ancora fare l’analisi delle pasticche come avviene invece in mezza Europa), ha restituito a questo Paese servizi in grado di affrontare consumi inediti, fuori dalla logica emergenziale, consapevoli, come afferma Günter Amendt, del ruolo che le sostanze psicotrope svolgono nel soddisfare bisogni sempre più societari.
Dal disagio sociale alla techno generation
Articolo di Redazione
Storia dell’ecstasy in italia dagli anni ottanta ai giorni nostri. Giovani operatori motivati hanno reinventato l’approccio alla prevenzione, costruendo partnership con gli attori della notte.