Se il ministro Ferrero sperava che la Relazione al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze per il 2005 offrisse l’occasione per una riflessione seria sulle strategie di contrasto alle droghe (come suggerito nella sua introduzione al documento), sarà rimasto deluso. E noi insieme a lui. I media ne hanno infatti approfittato per i consueti fuochi d’artificio allarmistici, del tipo “esplosione della cocaina” o “raddoppiati i consumi di canapa”. Analizzeremo con puntualità, se non con puntigliosità, l’insieme della Relazione nel prossimo numero. Nel frattempo, qualche osservazione è d’obbligo, sul tipo di dati raccolti (che presuppongono una determinata lettura del fenomeno) e su come sono presentati. Cominciamo da quest’ultimo aspetto, che ha dato il la al circo mediatico. Per stabilire i consumi all’interno della popolazione, la relazione segue un classico modello a tre rilevazioni: le interviste registrano se una persona ha usato droga almeno una volta nella vita, se almeno una volta nell’ultimo anno, se nell’ultimo mese. Per valutare le linee di tendenza, si è evidenziato il raffronto fra l’indagine del 2001 e quella del 2005, limitata però al tasso di uso “nell’ultimo anno”. Da qui i dati del cosiddetto boom: per la canapa si passa da un 6% del 2001, al 12% del 2005; per la cocaina, dall’1% del 2001 al 2% del 2005. Aparte che anche uno studente delle medie potrebbe dire che è facile raddoppiare quando siamo in presenza di percentuali così risibili; a parte che si poteva scegliere di illuminare l’alto tasso di discontinuità per le droghe illegali (ad esempio, per la canapa, del 31% di chi l’ha provata, meno della metà, cioè il 12%, l’ha consumata nell’ultimo anno, e solo il 6% l’ha consumata nell’ultimo mese: il che significa che solo un quinto di coloro che provano la canapa continuano a consumare con una certa regolarità, tale da meritare il nome di “consumatori”); a parte tutto questo, qual è la ratio dietro la scelta di confrontare la prevalenza dei consumi “nell’ultimo anno”? Non è chiaro, visto che sarebbe stato più adatto confrontare la prevalenza “nell’ultimo mese”, l’unica che può segnalare (pur in maniera grossolana) i consumatori abituali. Ma forse non si è scelto questo indicatore perché avrebbe messo in rilievo quanto bassa è la prevalenza del consumo regolare sull’insieme della popolazione. Ammesso, e non concesso, che il consumo regolare di cocaina si identifichi col consumo problematico, questo riguarda solo lo 0,9% della popolazione, mentre si stima che il consumo quotidiano interessi lo 0,1% (!) degli italiani. C’è di più: leggendo il capitolo sui consumi giovanili, si scopre che l’uso di canapa, ma anche di cocaina, sono in realtà costanti, se non in declino: ad esempio, fra gli studenti maschi di 19 anni, una delle classi di età in cui si registra più alta prevalenza, il tasso di consumi “nell’ultimo anno” scende nel 2005 all’8%, contro l’11% del 2000. E poiché sappiamo che in genere l’uso di droghe illegali è più alto fra i giovani e diminuisce con l’avanzare dell’età, ciò significa che l’andamento dei consumi giovanili determina in larga parte la tendenza più generale: nessun boom quindi in prospettiva, ma al contrario una certa stabilizzazione, se non un leggero declino. Ma oltre che smorzare i botti mediatici, occorre porsi una capire come e con quale frequenza usano le droghe i consumatori regolari? Quanti di questi possono definirsi a rischio di consumo intensivo? E quanti consumano in maniera decisamente “eccessiva”? In altri termini: ci aiutano a distinguere fra uso e abuso (così come normalmente si fa per l’alcol)? Chiaramente no. Perché l’assunto di fondo è che qualsiasi forma di consumo sia “patologica”. Il modello epidemiologico scelto dai ricercatori è utile per registrare l’esposizione progressiva all’agente patogeno, la droga, fino alla “malattia” conclamata: identificata nel “consumo regolare”, che a sua volta si presume coincidere con quello “problematico” o “dipendente”. Vogliamo la riprova? Immaginate uno studio così impostato per l’alcol. Anche un bambino obietterebbe che sapere quanti italiani consumano alcol nell’ultimo mese non ci dice assolutamente niente su come consumano; con quali rituali; con quali modelli; con quali rischi. Da qui una preghiera. Caro ministro, vogliamo smettere di perdere tempo e chiederci di quale ricerca abbiamo bisogno? Soprattutto, con quale obiettivo: per capire di più il variegato mondo dei consumi, o per meglio etichettare indiscriminatamente come patologico un comportamento “politicamente scorretto”?