Tempo di lettura: 3 minuti

Usando le parole del ministro Paolo Ferrero, occorre dire che l’uscita dal carcere di oltre 20.000 persone in virtù dell’indulto non è stata governata. Gravi i ritardi nella predisposizione di misure di sostegno, nell’ascolto di volontariato e Terzo settore, nello
stanziamento di risorse (dei 17 milioni di euro promessi per l’inserimento socio-lavorativo, per la verità, ne sono stati attivati per il momento solo il 10%, una miseria).
Viceversa, tra i meriti del ministero della Giustizia va sicuramente ascritta la trasparenza, riconosciuta a Clemente Mastella anche dai tradizionali rompiscatole radicali allorché al question time ha quantificato i fondi della Cassa delle Ammende: ben 118 milioni di euro; secondo la norma, disponibili per finanziare progetti di reinserimento. Le informazioni al riguardo erano state gelosamente nascoste dal passato governo, tanto da fare adombrare un uso improprio delle risorse (vedi Fuoriluogo, aprile 2004).

Su un altro, non meno importante, fronte va registrata l’attività positiva del ministero, e in particolare del sottosegretario Luigi Manconi: quello del contrasto alla vera e propria strategia di disinformazione operata da molti media, prima in occasione del dibattito sull’indulto e dopo sui suoi effetti. Con consueta puntigliosità, Manconi ha contestato
in particolare al Tg2 e ai maggiori quotidiani servizi e articoli decisamente fuorvianti. Ad esempio, dopo il titolo «Già tornati in cella 340» del Corriere della Sera, il sottosegretario ha chiosato che sarebbe stato più corretto scrivere «appena 340», trattandosi dell’1,6%
degli scarcerati. Naturalmente, quell’1,6% è destinato a crescere con il tempo (a ottobre, su 23.665 beneficiari, gli ex detenuti indultati rientrati in carcere sono il 3,6%, tra cui però sono conteggiati stranieri colpevoli solo di non aver ottemperato all’ordine di allontanamento dall’Italia), ma credibilmente il dato sulla reiterazione di reati si situerà a un livello molto inferiore di quello consueto, laddove la recidiva è stimata al 75%.

Che il sistema mediatico avesse scelto di mettersi di traverso sull’indulto lo si era capito già durante l’iter parlamentare. Ad esempio, con l’incredibile copertura assicurata alle posizioni critiche del ministro Antonio Di Pietro: i girotondi davanti alla Camera avevano visto poche decine di partecipanti ma un numero maggiore di telecamere e giornalisti. O con le ancor
più incredibili notizie diffuse (anche da un quotidiano di sinistra) a ridosso del voto, secondo cui l’indulto avrebbe riguardato anche 6.152 autori di omicidi volontari. Una cifra in evidenza falsa; basti dire che, al 30 giugno 2006, i detenuti condannati a più di 20 anni
(è assai raro che per omicidio volontario la pena sia inferiore, mentre proprio in questa fascia si trovano molti dei condannati per i reati esclusi dall’indulto: mafia, terrorismo, sequestro, ecc.) erano 2.319; anche sommandovi tutti i 1.233 condannati all’ergastolo
(che dell’eventuale indulto avrebbero evidentemente un beneficio solo nominale) si arriverebbe solo a 3.552. Numeri dunque falsi, ma diffusi ripetutamente, senza alcuna contestazione o rettifica.

Dopo l’approvazione del provvedimento, invece, è stato un fiorire di titoli del tipo: «Scarcerato per indulto, commette un nuovo reato». E pazienza se talvolta quel nuovo reato talvolta era semplicemente l’effrazione di un’auto effettuata per poterci dormire dentro, non avendo altro. Diversamente, assai scarsi sono stati gli articoli che hanno dato conto dei non pochi che, usciti con l’indulto, si sono suicidati oppure che hanno chiesto di tornare in carcere non avendo possibilità di alloggio e neppure di sfamarsi.

Ferdinando, di certo, non entrerà più nelle statistiche della recidiva: in carcere per un piccolo furto, il giorno dopo la scarcerazione anticipata dall’indulto, era già al lavoro a Napoli. Lavoro nero, naturalmente; in un cantiere dove è rimasto ucciso, travolto da uno
smottamento. Pochi giornali hanno dedicato qualche riga all’episodio. È l’altra faccia dell’indulto. Casi di ordinaria disperazione, che nessuno ha censito e contato. Fiumi di inchiostro e ore di trasmissione sono invece stati dedicati a una non-notizia: dell’indulto potrebbe beneficiare anche Luigi Chiatti. Il cosiddetto «mostro di Foligno» – secondo il tremendo linguaggio dei media – vedrebbe così il proprio fine pena anticipato al 2020. Il condizionale è d’obbligo, poiché terminata la pena, essendo stato Chiatti dichiarato seminfermo di mente, prima dell’eventuale scarcerazione dovrà essere sottoposto a misura di sicurezza in un ospedale psichiatrico giudiziario; dopo tre anni verrà valutata la persistenza o meno della sua pericolosità e, nel caso, rimarrà rinchiuso nel manicomio
giudiziario.

Questo non ha impedito ad An di promuovere un corteo di protesta. Con oltre un decennio di anticipo rispetto all’evento contestato. L’informazione, invece, in quest’occasione ha dimostrato di essere qualche secolo in ritardo.