L’argomento che intendo trattare è la cultura del bando della cannabis. Il mio obiettivo principale non è esplorare come questa cultura sia nata, quanto piuttosto le ragioni del suo persistere. Il bando, introdotto molto tempo fa – negli anni ’20 del Novecento – come questione marginale durante le consultazioni sull’oppio della Lega delle Nazioni, si è protratto nel corso degli anni attraverso le alterne vicende della cultura e dell’economia. Oggi è ancora in vigore, ed è giusto presumere che raggiunga determinati obiettivi. Perciò mi sforzerò di definirli.
Il mio intento principale non è rispondere a domande sui presunti pericoli connessi al consumo di cannabis, bensì offrire una descrizione generale della funzione primaria del bando sulla cannabis a prescindere dall’area geografica: un bando che viene apparentemente giustificato invocando la versione in voga in un particolare momento dei pericoli rappresentati da questa sostanza.
Con l’espressione «cultura del bando della cannabis» intendo riferirmi a un insieme di teorie sui mali della cannabis. Tali teorie sono date per scontate, non sono sottoposte a test seri per verificarne la validità, vengono tramandate e ripetute nelle varie strutture e nei vari sistemi politici che abbiamo nel mondo, e culminano dappertutto in una qualche forma di imposizione del divieto della cannabis.
Il bando della cannabis – questo il punto – gode di un certo status che lo protegge da valutazioni razionali e funzionali. Esso ha trasceso i confini della ragione, e soddisfa esigenze spirituali di una natura diversa rispetto a quelle per cui è stato creato. Molti pensano che una ricerca corretta sul consumo e sulla produzione di cannabis potrebbe ragionevolmente influenzare il modo in cui il divieto della cannabis viene mantenuto, modificato o persino abolito! Desidero cancellare questa illusione, dimostrando che il bando della cannabis ha acquistato un significato sacro che lo pone oltre il confine di ciò che chiamiamo discorso scientifico.
Il mio uso dell’aggettivo “sacro” deriva dall’aggettivo olandese sacraal così come utilizzato dall’antropologo Jojada Verrips, il cui lavoro mostra una certa fascinazione nei confronti dell’origine sacra degli omicidi rituali nell’Olanda degli inizi del XX secolo. Il bisogno di commettere questi omicidi veniva vissuto come un comandamento divino; si credeva che gli omicidi purificassero i responsabili, che li liberassero da forme di contaminazione precedentemente attribuite alle vittime. Secondo Verrips, non solo le persone ma anche le piante possono essere vittime! Perciò mi interessa la natura sacra del bando della cannabis, il suo legame con la “purificazione” e la fede in questo processo, che lo sottrae all’ambito del dibattito ordinario sulle politiche, o sulle questioni scientifiche o economiche.
Ho chiesto a cinque ricercatori europei di spiegare perché l’uso di cannabis è proibito nel loro paese, secondo le più importanti agenzie antidroga. Tutti e cinque hanno risposto. Il primo ricercatore svedese ha detto che il bando è giudicato necessario perché la cannabis sarebbe una droga di passaggio verso altre droghe, perché provocherebbe apatia, e perché potrebbe causare la schizofrenia. Il secondo ricercatore svedese ha detto che la cannabis è una droga di passaggio verso altre droghe, che causa dipendenza, e che provoca psicosi di tutti i tipi.
Uno dei ricercatori britannici ha risposto molto più brevemente. A suo parere si ritiene universalmente che la cannabis possa causare la follia, specialmente per l’attuale diffusione di un tipo di marijuana forte. Nessuno di questi ricercatori ha sostenuto che queste tesi abbiano una qualche validità scientifica.
Il ricercatore francese, che come gli altri ha condotto ricerche sulle droghe per molto tempo, ha risposto che la cannabis è «semplicemente considerata nociva» sotto tutti gli aspetti per le persone, e che è universalmente considerata una droga di passaggio.
Tra le risposte vi sono somiglianze e differenze, e ormai la storia sulla cannabis come fonte di violenza la troviamo solo in Gran Bretagna. È noto che tutte queste teorie – dal punto di vista scientifico – sono false o ampiamente discutibili. L’idea che la cannabis spinga a consumare altre droghe – la teoria che incontriamo dappertutto – in effetti non è più sostenibile, come hanno dimostrato molti studi compresi quelli condotti dal Cedro. Uno degli studi più dettagliati mai dedicati alla questione, che ha usato due grandi campioni casuali della popolazione di Amsterdam, conferma le risultanze di D.B. Kandel secondo cui l’uso di droghe inizia con il tabacco, seguito dall’alcool. Per la minoranza della popolazione di Amsterdam, dai dodici anni di età in su, che passa alla cannabis dopo l’alcol e il tabacco, non può essere dimostrato nessun modello significativo di uso di altre droghe, ad eccezione di una piccola minoranza e, in questa minoranza di casi, generalmente solo per un breve periodo di tempo.
Non voglio qui entrare in ulteriori dettagli riguardo al dibattito sulla cannabis come droga di passaggio ad altre droghe: basti dire che si potrebbe pubblicare un vasto corpus di evidenze epidemiologiche che smentiscono questa teoria. Lo stesso vale per le teorie secondo cui la cannabis provocherebbe comportamenti violenti, follia o apatia: disturbi che – sia detto incidentalmente – nel XVIII e XIX secolo erano tutti attribuiti alla masturbazione. E i potenziali effetti negativi presumibilmente causati da modelli di consumo intensivo e frequente (come il tumore al polmone) sono quasi sempre discussi in relazione a tutti i modelli di consumo.
Forse possiamo ipotizzare conseguenze fisiche o psicologiche per una piccola minoranza di consumatori intensivi di cannabis, ma questo vale per tutte le affermazioni, per quanto stravaganti: simili associazioni possono sempre essere trovate, se partiamo con dei preconcetti, o se prendiamo un campione di persone attentamente selezionate, come quelle che consumano cannabis molto frequentemente, oppure persone ricoverate in reparti psichiatrici, o detenuti. Nel caso della gran parte dei consumatori di cannabis, misurati in campioni casuali, queste ipotesi non trovano conferma.
Se le forze politiche dominanti avessero assunto un atteggiamento diverso verso il consumo di cannabis, si sarebbero potuti stanziare più fondi per le ricerche – e per la loro pubblicazione – che dimostrano questa mancanza di scientificità (ma senza sopravvalutare l’effetto che ciò avrebbe potuto avere).
Chiaramente, c’è qualcosa di strano nel bando della cannabis. Le diverse teorie cui si ricorre per prolungarla indefinitamente non sono sostenibili. Ma cosa sta succedendo veramente? Il secondo ricercatore britannico che ho consultato ha aggiunto che, lasciando da parte i molti diversi problemi relativi alla cannabis, il bando rappresenta anche uno standard morale imposto in nome della società. Esso veicola alla popolazione il messaggio che usare cannabis non è giusto. Sono certo che sia così. Veicola questo messaggio. Ma qualcuno lo ascolta? Alcuni sì, non c’è dubbio. Ma in Olanda, in Portogallo e in Grecia, paesi che sostanzialmente hanno meno consumatori della Gran Bretagna, le persone ricevono lo stesso messaggio. La Gran Bretagna ha più consumatori di cannabis di qualunque altro paese europeo, a parte la Repubblica Ceca, ma anche nei paesi con livelli di consumo molto più bassi le autorità pensano che questo messaggio vada dato. E ciò a prescindere dal fatto che, dopo quasi un secolo di uso di cannabis, nessuno sa se esso sia ascoltato, o se produca l’effetto desiderato. Né vi sono – e questo è molto rivelatore – analisi scientifiche o tentativi seri di spiegare le forti discrepanze nell’uso di cannabis che esistono non solo in Europa ma anche all’interno dei singoli paesi.
Il livello più basso di consumo di cannabis in Europa, circa il 7% della popolazione in Portogallo, e il più alto, il 30% nel Regno Unito, differiscono con un rapporto di uno a quattro. Nessuno sa perché. Nessuno conosce le cause di queste cifre dei consumi, né se su queste qualcosa possa incidere – e se sì, che cosa sia in grado di farlo. Nella normalità dei casi, interrogativi del genere sarebbero una priorità per la ricerca, ma per il consumo di cannabis ciò non avviene. Nessuno vuole sapere perché in Portogallo si fuma canapa così poco, e in Gran Bretagna così tanto. Nessuno vuole sapere perché l’Olanda occupa una posizione intermedia tra il Portogallo e la Gran Bretagna nonostante gli oltre trent’anni di cannabis shops e di libero accesso all’hashish e alla marijuana. In Olanda, per molti anni, chiunque avesse compiuto i sedici anni poteva acquistare marijuana. Successivamente il limite di età è stato portato a diciotto anni. I maggiori di diciotto anni possono tuttora acquistare marijuana in quantità illimitata. In altre parole, una situazione che secondo gli inglesi, e secondo i francesi e gli svedesi, porterebbe al disastro o almeno a livelli di consumo molto alti, semplicemente non produce questi effetti!
Nessuno vuole sapere il motivo. La gente non vuole saperlo perché non è considerato rilevante. Nella cultura del bando della cannabis, non c’è spazio per una argomentazione scientifica. Il teatrino politico di questo divieto non è pensato per un pubblico critico.