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Nel leggere la voluminosa e analitica relazione sulle tossicodipendenze del Ministero della Solidarietà sociale al Parlamento, prevista dall’art. 131 del Dpr 309/90, mi chiedo se la stessa risponda alle esigenze di questo particolare momento. Le ragioni di questa domanda sono due.
La prima è rappresentata dalla prospettiva indicata, nella introduzione del Ministro, alla IV Conferenza nazionale sulle dipendenze, «che si terrà nel primo trimestre 2008». E qui un appunto: di conferenze, diciamo così, pacifiche e condivise, ce ne sono state tre (Palermo ’93, Napoli ’97 e Genova 2000): rispetto a queste è giusto parlare della quarta, considerando quella di Palermo del 2005, largamente non partecipata, solo una fonte di divisione e non di confronto, prima fase del golpe in preparazione, sviluppatosi poi, in tempi attentamente calcolati, nell’inserimento arbitrario nel decreto legge “Olimpiadi” dei numerosissimi articoli della Fini-Giovanardi, approvata in extremis e tollerata dalla pruderie istituzionale dell’ottimo Presidente della Repubblica Ciampi.
La seconda ragione della particolarità del momento è proprio questa legge Fini-Giovanardi, menzionata in modo troppo discreto e anonimo nella introduzione del Ministro, come legge 49/06, legge che adotta, in modo articolato, lo strumento della punizione contro i tossicodipendenti, marginalizzando il discorso della loro assistenza e cura, costruito negli anni dai Servizi, anche se incompletamente e imperfettamente. Certo il Dpr 309/90 aveva già una filosofia rigidamente proibizionista e punitiva dell’uso, ma il referendum del ’93, depenalizzando l’uso, si era posto in antitesi con quella filosofia, creando un contrasto che attende ancora di essere risolto. La Fini-Giovanardi ha espressamente fatto fuori il contrasto ed ha rilanciato ad ampio raggio il proibizionismo repressivo della legislazione del ’90.
Queste due ragioni richiedevano, a mio avviso, una relazione che, possibilmente, indicasse una nuova politica e, comunque, ponesse all’attenzione, sia pure problematicamente, i punti nodali della situazione generale delle dipendenze come temi della Conferenza nazionale ormai prossima.
Ora, sulla Fini-Giovanardi, i sei punti indicati nella introduzione del Ministro non sembrano avere la capacità di contrasto che quella sciagurata legge merita. Rafforzare l’intervento delle forze dell’ordine contro il narcotraffico (quanti pesci piccoli restano nelle reti!), ma non citare la necessità del rafforzamento delle politiche, della organizzazione e delle risorse dei Servizi, lasciati largamente allo sbando da vari anni; parlare della decriminalizzazione del “mero” consumo (perché “mero”?); rivedere il sistema delle sanzioni amministrative, anziché sopprimerle, specie in presenza della constatazione della loro inutilità (ci ritorno fra poco); ignorare la rovinosa unificazione di tutte le sostanze; stare eccezionalmente attenti alle parole e alle condizioni nel punto 6 sugli “interventi innovativi”; non parlare di riduzione del danno; tutti questi aspetti non possono non preoccupare. E se questo consegua ad analoghe preoccupazioni del Ministro, più coraggioso in altre occasioni, rende ancora meno tranquilli.
Ma sono tanti i punti che, debitamente problematizzati, potevano essere posti all’attenzione nella prospettiva della Conferenza nazionale.
Il primo può essere proprio la relazione annuale e il suo “taglio”. L’art. 131 individua i temi – stato delle tossicodipendenze, strategie e obiettivi raggiunti, indirizzi da seguire, uso delle risorse a fini di prevenzione e riabilitazione – e gli strumenti informativi, che dovrebbero essere «acquisiti dalle regioni». Gli allegati della Relazione 2006, con la larga prevalenza dei ministeri degli interni e giustizia, competenti per il contrasto alla circolazione delle sostanze, sono decisivi per la impostazione e il contenuto della Relazione e decisamente lontani dai temi proposti dall’art. 131. Sembra evidente l’importanza di rendere operativo l’Osservatorio permanente sulle dipendenze, che è entrato nelle competenze del Ministero della solidarietà sociale, e che, liberato dalla ossessione delle sostanze, dovrebbe porre al centro i problemi delle persone in rapporto con i Servizi. La relazione annuale diverrebbe un’altra cosa.
Un bel problema su cui discutere. Anche per liberarci dalla profluvie dei dati di dubbia utilità su cui la relazione è costruita, ossessionata sempre dalla apparizione, anche innocua, delle sostanze. È utile rilevare, come viene fatto, i consumi più discontinui, casi isolati negli ultimi dodici mesi? E dove inizia e dove cessa l’uso problematico? Si può tollerare un uso non minimo e non discontinuo, ma controllato, della sostanza? Quali i confini della riduzione del danno dai casi estremi e disperati a quelli che tali non sono, ma che potrebbero diventarlo se non gestiti per la persona e non solo contro la sostanza? Un dato interessante: per chi resta in trattamento il rischio di morte per overdose è 11 volte minore rispetto a chi ne esce. Già: le morti per overdose restano ancora molto elevate: oltre 500 nel 2006. Dobbiamo considerarle irriducibili o si può fare qualcosa? E ancora: tutte le statistiche sull’uso problematico includono la cannabis, rilevandone, comunque, la sostanziale marginalità. È utile questa ricerca una volta, ovviamente, superata la indistinzione delle sostanze operata dalla Fini-Giovanardi?
Il Ministro nella introduzione pone l’attenzione sulla crisi dei servizi, fornendone le cifre. Al di là del giusto richiamo alla necessità di più risorse, deve essere posta in evidenza la questione centrale della uscita dalla crisi. A questo scopo: per un verso, occorre la promozione dei servizi verso una visione liberata dal controllo (che, coerentemente, la Fini-Giovanardi aveva rafforzato) e mirata alla crescita di servizio e conoscenza della persona e alla diffusione della ricerca, anche scientifica, dei fenomeni di cui si tratta (il che dovrebbe accrescere il richiamo di questo lavoro); per l’altro verso, occorre la implementazione degli aspetti sociali, anche attraverso quegli operatori che possono essere, ad un tempo, dentro le zone critiche dei problemi dei giovani e accanto a quella che il Ministro chiama «l’emarginazione grave ed estrema… vale a dire circa 12-14.000 individui, che si concentrano negli interstizi delle metropoli». Il che significa affrontare il nodo, comune ad altri rami della cura della salute, come la psichiatria (anche quella in sofferenza), in cui il rapporto con la persona diventa centrale ed indispensabile, al di là dei problemi strettamente sanitari.
Soffermiamoci, però, a questo punto, su un particolare tema: l’effetto punitivo e repressivo, che è stato individuato come il messaggio centrale della Fini-Giovanardi. La dimostrazione di questo è già stata data e ripetuta. Ora, anche su questo, la relazione annuale non ha ricercato né dato un contributo specifico, che poteva rappresentare un altro tema da affidare alla Conferenza nazionale. Con fatica qualche notizia si può ricavare nelle pieghe della relazione e degli allegati, precisando, però, che il tempo di riferimento, l’anno 2006, ha rappresentato il faticoso e, in parte, contrastato affermarsi della nuova legislazione, con effetti minori di quelli del potenziale repressivo della legge. Inoltre, siamo qui nelle sabbie mobili dei dati dipendenti dalla misura degli interventi di polizia e giustizia e la intensità di questi può essere dipesa da aree di scarsa convinzione applicativa. In altre parole: gli effetti deleteri, sulla fasce di tossicodipendenti “trattati” con la pena, diventeranno sempre più evidenti se la legge non venisse rimossa.
Credo sia utile distinguere fra le sanzioni amministrative e quelle penali.
Come è noto, per le sanzioni amministrative, la Fini-Giovanardi ha agito su due piani: intanto, ha rafforzato il sistema delle sanzioni amministrative prefettizie in vario modo e ha aggiunto nuove sanzioni amministrative applicate dal questore; inoltre, ampliando i confini del penale al consumo delle quantità (molto modeste) definite con decreto del ministro della salute, ha ridotto i casi di sola segnalazione al prefetto. Nonostante questo, le segnalazioni al prefetto sono cresciute di oltre 2000, da 53.120 nel 2005 a 55.222 nel 2006, anche se formalmente i servizi delle prefetture annotano solo le segnalazioni, per il 2006, di 35.645 soggetti: sia in conseguenza di ritardi burocratici nelle annotazioni, che per le difficoltà di accertare la quantità di principio attivo delle singole sostanze, decisivo per stabilire se siamo entro l’illecito amministrativo o quello penale. Come sempre la sostanza oggetto prevalente delle segnalazioni è la cannabis per il 75%: seguono cocaina, 15%; oppiacei, 8%; e altre sostanze, 2%. Nel 2006: 26.841, i colloqui davanti al prefetto, 14.891 i soggetti invitati a non fare uso di stupefacenti, 7.146 i soggetti sanzionati dal prefetto, il 25% dei quali per non essersi presentati al colloquio; 5.816 gli inviati al Sert per programma terapeutico. Tale attività, la cui efficacia, si può desumere dalle cifre riportate, concorre con altre alla spesa di euro 2.798.000.000 per la applicazione della legge, mentre i costi degli interventi sociosanitari sono di euro 1.743.000.000.
Nella relazione questi interventi sono affiancati ai trattamenti. Perché? L’unico effetto di questi interventi è una prima stigmatizzazione e il rischio dell’avvio di un percorso di dipendenza. Il discorso non detto può essere questo: si tratta pur sempre di una intercettazione dell’uso che potrebbe sfociare nella dipendenza. Ma da sempre i veri soggetti colpiti sono i detentori di piccole quantità di cannabis. La domanda è spontanea. Per avvicinare questa fascia del consumo che nulla ha a che fare con la dipendenza si deve creare un sistema sanzionatorio, con una organizzazione apposita e consistente?
La ragione di questo è la fiducia nella sanzione, nella bacchettata sulle dita, che fa male. Dirottare le risorse riservate a quel sistema inutile verso le pacificamente molto carenti risorse dei servizi per le dipendenze sarebbe ovviamente meglio.
Vengo al penale. Affronto il tema dell’estensione dell’intervento penale e, in particolare, carcerario.

È chiaro che nel leggere i dati, bisogna tenere presenti gli effetti dell’indulto intervenuto a fine luglio. Qualcosa ci possono dire i dati del primo semestre 2006, rispetto al quale gli effetti della Fini-Giovanardi erano, però, appena scattati e con tutte le complicazioni dei decreti del Ministro della salute vecchio e nuovo. Qualcosa si può ricavare dal ritmo delle denunce per art. 73, su cui l’effetto indulto non si dovrebbe sentire: aumentano da 28.260 nel 2005 a 29.593 nel 2006: in questo anno le denunce salgono a 32.807 se si calcolano anche le denunce per altri reati relativi agli stupefacenti oltre quello dell’art. 73. C’è da osservare che l’attività della Polizia nel corso del 2005 era concentrata sugli stranieri: l’aumento totale di circa 8.000 arrestati, rispetto al 2004, era dovuto ad un aumento di 10.000 arrestati stranieri e ad una diminuzione di circa 2.000 arrestati italiani. È chiaro che tutti questi dati statistici sono sempre influenzati dall’aumento o dalla diminuzione dell’attivismo della polizia, che discende ovviamente dalle indicazioni della politica. Quanto agli arresti, le 32.807 denunce per i reati indicati portano a 26.646 arresti nel corso del 2006: al 30/6/2006, i tossici detenuti sono 16.145, di cui quasi il 21% stranieri. Le percentuali, per ora, non risentono di quella estensione della penalità che dovrebbe manifestarsi in tempi meno brevi se la legislazione non cambierà. Basterà che una parte delle decine di migliaia di segnalazioni alle prefetture diventino denunce penali, come la Fini-Giovanardi vuole.
Una domanda finale: che fare alla prossima conferenza nazionale? Galleggiare sui vari livelli di inefficacia raggiunti o affrontarli e trovare le risposte – o anche il rinascere della voglia di discutere per trovarle – e rilanciare le prospettive che i temi chiave indicati nell’art.131 richiedono?