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“En la literatura penal actual, la cuestión de la crisis de la cárcel es un tema recurrente. Por lo demás, como nos ensenan los clásicos, desde que la pena privativa de libertad existe, siempre se ha hablado de la crisis de la cárcel”. Questa citazione di Massimo Pavarini, tratta da L’ordine carcerario. Appunti per una storia materiale della pena, introduce il lavoro scientifico di analisi delle condizioni di detenzione nelle carceri guatemalteche effettuato dalle Nazioni Unite in collaborazione con l’Istituto di studi comparati in scienze penali del Guatemala. I diritti umani dei detenuti ristretti nelle carceri del Centro e del Sud America sono estremamente a rischio di violazioni.

I TASSI DI DETENZIONE
Un problema generalizzato nel continente latinoamericano è il sovraffollamento. Le situazioni più gravi sono in Argentina, Brasile, Panama, Costarica e Salvador. Limitandoci al Centroamerica, vediamo alcuni dati: Costarica 4.200 detenuti con un tasso di 130 detenuti ogni 100.000 abitanti; Panama 6.108 con un tasso di 170 su 100.000; El Salvador 5.576 con un tasso di 115 su 100.000; Nicaragua 3.470 con un tasso di 110 su 100.000; Guatemala 6.637 con un tasso di 60 su 100.000. I dati per alcuni Paesi potrebbero apparire non particolarmente allarmanti se si pensa al tasso di detenzione in alcuni Paesi sviluppati: Stati Uniti addirittura 510 su 100.000; Gran Bretagna, Francia e Spagna più o meno attestati sugli 80 su 100.000. Mentre l’Italia ha un tasso pari circa a 100 su 100.000. Oltre al tasso di detenzione rispetto al numero di abitanti, al fine di verificare se il trattamento presenta i caratteri della disumanità, ovviamente va considerata la qualità delle strutture detentive e la loro capienza ottimale. È accaduto in diverse circostanze nei Paesi del Centroamerica che quando si è cercato di stimare la capienza delle carceri, le autorità penitenziarie hanno cercato di elevare ad arte il numero di detenuti che ogni carcere avrebbe potuto contenere, per ridimensionare il problema del sovraffollamento. Si deve per, considerare che ogni giustificazione sulla capienza effettiva o tollerabile perde di significato quando, come accade in Guatemala, nessuno stabilimento penitenziario dispone di letti, materassi, generi per l’igiene. Prima di tutto sarebbe necessario definire con precisione scientifica i parametri in base ai quali decidere la capienza ottimale di un istituto di pena. Certamente non è sufficiente il riferimento utilizzato dalle autorità guatemalteche allo spazio fisico per potersi stendere per terra. Ecco perché i dati ufficiali sul sovraffollamento sono spesso meno allarmanti della situazione reale. Il filo rosso che lega tutti gli stati del Centroamerica è il netto divario tra la situazione di diritto e le condizioni reali di detenzione. Le scelte neoliberiste di Arzù in Guatemala o dei somozisti in Nicaragua, ovviamente, non consentono alcun investimento nei settori penale e penitenziario, fra l’altro ritenuti dai governi di stretta e rigorosa competenza nazionale, nonostante le innumerevoli sollecitazioni provenienti dalle Nazioni Unite dirette a riformare il sistema penale e penitenziario in conformità alle statuizioni internazionali sui diritti umani fondamentali.

COOPERAZIONE SUI DIRITTI UMANI
Su pressione degli organismi internazionali, le legislazioni penitenziarie interne tendono a modificarsi in senso umanitario e garantista, ma vengono volutamente disattese e inapplicate dalle autorità nazionali, che a loro giustificazione, come già detto, pongono le scarse risorse economiche a disposizione. Ecco perché oggi ha un senso per le organizzazioni non governative proporre nuove forme di cooperazione con questi Paesi sui temi dei diritti umani nelle carceri. Vi è la legittimazione internazionale e, di conseguenza, lo spazio politico, non potendo le autorità governative opporre dei divieti pregiudiziali, in quanto costrette dalle Nazioni Unite ad accettare la collaborazione esterna della società civile. In Guatemala la situazione nelle carceri è perfettamente fotografata da una ricerca sulle condizioni di detenzione effettuata con il contributo determinante delle Nazioni Unite. Oggi che anche in Italia, per iniziativa di Antigone, nasce un Osservatorio sulle carceri, quasi stupisce che una Commissione composta da esperti di un istituto di ricerca guatemalteco, insieme a esperti delle Nazioni Unite, abbia potuto visitare tutti gli istituti di pena del Paese senza restrizioni di sorta; oltre tutto, se si tiene conto che gli accordi di pace sono stati firmati solo nel dicembre del 1996, ossia un anno e pochi mesi fa, e che la violenza politica è ancora diffusa nel Paese (vedasi il recente omicidio del vescovo Girardi dell’Arcivescovado di Città del Guatemala, impegnato da sempre in progetti a tutela dei diritti umani). La ricerca, di grande valore, non ha però avuto il consenso alla pubblicazione dal ministero degli Interni e della Direzione generale del sistema penitenziario. Quest’ultima, in circostanza della visita, ha fornito dati non veritieri sulla capienza massima delle carceri, forzatamente esagerata per non far emergere il dramma del sovraffollamento. In alcuni casi sorprende la capienza massima indicata (come nel carcere femminile di Antigua) alla luce del numero di letti visti. A luglio 1996 i detenuti erano pari a 6.637, di cui 4.927 in custodia cautelare. Il 74% degli imputati risulta poi innocente: un dato impressionante, che mina alle radici la credibilità del sistema giustizia. Due sono le possibilità: o si è ingiustamente arrestati o si corrompe facilmente il giudice. La gente vive con grande incertezza e timore il rapporto con la magistratura, spesso coinvolta in traffici illeciti o in inchieste di corruzione. Risale allo scorso settembre il coinvolgimento del presidente della Corte Suprema in un traffico illegale di minori con l’estero.

ASSENZA DI REGOLE, ARBITRII DIFFUSI
Anche il sistema carcerario è privo di regole certe (manca una legislazione penitenziaria) e gli arbitrî del personale di custodia sono all’ordine del giorno. Il detenuto vive più o meno dignitosamente in carcere a seconda della propria capacità di corruzione. Il sistema, incredibilmente, è stato formalizzato: in tutti gli istituti vi sono settori dove le condizioni sono migliori; se il detenuto vi vuole soggiornare deve pagare una somma all’amministrazione. Forti discriminazioni sono subite dalla popolazione indigena detenuta (pari al 21% del totale). Non vi è nessun interprete che parli la loro lingua; inoltre tutte le carceri sono nelle grandi città, ben lontane dai loro luoghi di residenza. Il personale, oltre a essere privo di una benché minima formazione, effettua turni stressanti. Ad esempio, turni di dodici ore, o cinque giorni consecutivi di lavoro a cui seguono cinque giorni di riposo. Manca un qualsiasi programma educativo all’interno del carcere; non vi è interesse da parte del ministero dell’Educazione o degli Interni. Infine, le carceri del Guatemala presentano casi di trattamento crudele, inumano o degradante. Frequenti sono gli episodi di violenza fisica o di trattamento umiliante. Sono stati denunciati casi di somministrazione di farmaci diretti alla sterilizzazione coattiva dei detenuti.

MINORI ABBANDONATI E RECLUSI
Passando a esaminare brevemente la situazione della giustizia minorile in Guatemala, così come in altri Paesi dell’America Centrale, non emergono risultati migliori. Ecco alcuni dati: il 42% dei minori privati della libertà appartiene alla classe marginale, il 31% alla classe bassa, il 23% raggruppa bambini ed adolescenti che vivono sulla strada. Dato che la differenza tra classe marginale e bassa è minima, si può dire che il 97% di questi bambini si trova in una condizione di massima povertà. Il 65% degli stessi contribuisce al sostentamento della propria famiglia: si tratta di lavori appartenenti al settore informale; per le bambine spesso la principale fonte di guadagno è la prostituzione. Un terzo dei bambini privati della libertà non ha alcun titolo di studio. Il sistema della giustizia penale, quindi, seleziona i propri destinatari tra i settori più marginali della società: ovvero, lo stato risponde a problematiche sociali solo ed esclusivamente con il carcere. L’altro dato allarmante è che l’infanzia internata nei 5 centri, tutti nella capitale, include non solo bambini che hanno commesso reati, ma anche chi si trova in stato di abbandono. È il codice stesso (datato 1978) a prevedere analoghe misure detentive per i minori devianti e per quelli che si trovano in situazione irregolare. Lo stato, quindi, reagisce nella stessa maniera di fronte a un bambino che ruba e a uno abbandonato. Molti rimangono nei Centri perché non c’è nessuno che li reclama: il 35% delle bambine in stato di privazione della libertà si trova internato in quanto prostitute o vagabonde. I cinque Centri adibiti a rieducazione, tutela e protezione sono privi di risorse educative. Gli stessi responsabili della giustizia minorile hanno confermato la delicatezza del problema: oltre alla mancanza di strumenti educativi, di proposte culturali, di strumenti di appoggio e di sostegno per chi esce dall’istituto, permane un certo tasso di violenza da parte della custodia, priva di formazione e demotivata nel lavoro. Dall’altro versante, esiste il problema di trovare gente disposta a lavorare con questi ragazzi: i maestri delle scuole pubbliche, ad esempio, ripetutamente rifiutano i richiami dei responsabili del settore della giustizia minorile che stanno tentando, a partire dal 1997, di modificare una situazione illegale dal punto di vista del diritto internazionale. Non bisogna dimenticare che il Guatemala ha ratificato quasi tutte le Convenzioni internazionali sui diritti umani e, quindi, anche quella sui diritti dell’infanzia (1989). Proprio a questo proposito, nel 1991, in piena guerra civile, è nata nel Paese una Commissione pro-Convenzione sui diritti del fanciullo, costituita da rappresentanti delle istituzioni e delle numerosissime associazioni che si occupano di diritti dei minori. Essa è riuscita a stilare uno strumento quasi unico nel panorama internazionale, il Codice dell’Infanzia e dell’adolescenza. Il Codice ha lo scopo di rendere le norme interne compatibili con la legislazione internazionale in materia; prevede strumenti nuovi anche nel campo della giustizia penale, maggiori garanzie processuali e, soprattutto, una separazione netta tra bambini che compiono reati e bambini che si trovano in stato di abbandono, per i quali sono previsti mezzi di sostegno diversi dall’internamento. Con l’entrata in vigore del nuovo codice i bambini reclusi dovrebbero ridursi di un terzo, ma il Parlamento ritarda la sua entrata in vigore. La giustificazione è che mancano i finanziamenti; in realtà si tratta solo di priorità nelle scelte di spesa. Antigone, a tal proposito, con Movimondo ha elaborato un progetto integrale sulle carceri minorili guatemalteche da sottoporre agli organismi internazionali per la tutela dei diritti umani. Non un intervento umanitario, ma un progetto di cooperazione sui diritti dei minori detenuti, uno dei primi tentativi in questo difficile campo. Si parte dai minori, essendo meno forti gli ostracismi del governo locale. Il progetto dovrebbe comporsi di tre fasi: 1) formazione dei formatori locali; 2) nuove opportunità culturali per i minori ristretti; 3) consulenza legale gratuita. Sarebbe sicuramente innovativo ottenere anche l’appoggio del ministero di Grazia e Giustizia italiano, che così si imporrebbe quale soggetto all’avanguardia internazionale nelle politiche sociali a sostegno dei minori devianti.

*Associazione Antigone e Movimondo