Sarà pure un’amenità, ma francamente una delle poche verità della Relazione annuale al Parlamento, rilevanti per delineare un quadro dello stato del fenomeno droga nel nostro Paese nel 2004, è quella delle quotazioni in euro delle diverse sostanze sul mercato, sia nella fase del traffico, sia in quella dello spaccio per grammo o dose, riportata con rara fedeltà dai dati forniti dal Dipartimento Centrale Servizi Antidroga (Dcsa): cifre da capogiro per le organizzazioni criminali (es. 46.000 euro per chilogrammo di cocaina, che diventano 98 euro al grammo allo spaccio, pag. 168).
Per il resto, la lettura della Relazione, nell’ottica dell’operatività del sistema sanzionatorio nel suo complesso è davvero sconfortante: la genericità dei dati è la spia di una scelta ideologica, non in grado di proporre una strategia diversificata di contrasto della criminalità legata al ciclo della droga: l’ossessione di “tutto il male nel male” genera miopia sociale. E così, iniziando ad esempio, dall’apparato sanzionatorio per gli illeciti amministrativi relativi alla detenzione per uso personale, non affiora la minima perplessità sulla utilità di tale attività amministrativa, non strettamente educativa, anche quando lo stesso Dipartimento non è in grado di dare notizia sugli esiti finali delle segnalazioni alle Prefetture per detenzione di droga, se non sotto il profilo del semplice avvio ad un programma terapeutico. È un’attività diretta contro un ampio campione di giovani tra i 15 e i 24 anni, “scoperti” con la “canna”: si tratta di 87.894 segnalazioni, in aumento del 13%, di cui il 78% correlate alla canapa, e di ben 114.511 giovani su cui hanno operato le Polizie nel quadriennio: soggetti quindi esposti, maggiormente visibili, più deboli. Ogni considerazione poi, sull’apparato repressivo penale (dalle denunce, ai processi al sistema carcerario), risulta falsata per la mancanza di una distinzione concettuale fondamentale, anche in politica criminale, tra vendita e traffico, come del resto indicata dalla stessa Dcsa. L’indifferenziato riferimento, per le denunzie, i processi per droga e l’impatto carcerario, all’unico, ma inespressivo parametro dell’art. 73 del Testo Unico sulla droga non consente, da una parte, di valutare l’incidenza delle situazioni di “lieve entità”, di piccolo spaccio di cui al comma 5 dello stesso art. 73, che coinvolge moltissimi consumatori per quella via carcerati; e dall’altra, impedisce di determinare lo spessore criminale delle situazioni di traffico di “ingenti quantità di sostanze stupefacenti”, previste come circostanza aggravante (con conseguente aumento delle pene da un terzo alla metà) dello stesso art. 73, dall’art. 80 del Testo Unico.
Invece, nella relazione “tutto fa brodo”, quintali di cocaina o qualche grammo di fumo! E che si tratta di una scelta consapevole lo conferma la presenza di tali distinzioni nelle Relazioni degli anni precedenti, specie del 1998 e 1999. Per individuare l’associazione finalizzata al narcotraffico, la Relazione si limita al richiamo dell’art. 74 del Testo Unico. Anche qui, come dire: mafia, n’drangheta e camorra… non esistono, oppure si occupano di altri affari! I dati sulle denunzie trasmesse alla Magistratura, a seguito di operazioni degli organi di Polizia, dovrebbero rappresentare un chiaro segnale di indirizzo per politiche sociali e del lavoro innervate alla politica criminale perché consentono di delineare il normo-tipo di spacciatore come: maschio + italiano + meridionale + giovane sotto i 30 anni + disoccupato (nel 62% dei casi). Ma il messaggio non è chiaro al Ministro relatore dal momento che, nelle considerazioni preliminari al rapporto, dopo aver alluso al pericolo di presunti slogan di “convivenza” con la droga chiamando tutti ad “impegnarsi personalmente al fine di non subire come fatalità ineluttabile” il fenomeno, descrive come caratterizzati da “apparentemente buoni livelli di integrazione” anche i giovani disoccupati. Ora, se è vero che le moderne scuole di criminologia hanno messo al bando i modelli interpretativi della devianza di stampo eziopatologico, è anche vero che un qualche gioco di variabilità funzionale dovrà avere l’incerto destino lavorativo di tanti giovani attratti dalla immediata utilità del crimine. I dati sui processi penali, anch’essi indifferenziati tra traffico e vendita di droga, segnalano un aumento di quelli “pendenti”, ancora non definiti, che, se da una parte segnalano un inaccettabile inceppamento della macchina giudiziaria, dall’altra meriterebbero una approfondita disamina delle ragioni strutturali per cui molti Tribunali non riescono a decidere in tempi ragionevoli. Potrebbe poi essere uno svarione la distribuzione dei delitti di droga per aree geografiche regionali, dal momento che la Relazione individua come preoccupanti i territori dell’area della costa adriatica e della Calabria con una concentrazione dello spaccio nelle aree centrali ed in Liguria, mentre la pre-relazione della Direzione Generale della Giustizia Penale aveva indicato come “area maggiormente interessata al fenomeno (“rimane”) sempre il Nord con circa il 35% dei casi”. Sulla questione carceraria si dice tanto, ma sulla base di dati non conformi a quelli reperibili nel sito ufficiale del Ministero della Giustizia. Si diceva un tempo che la matematica non è un’opinione… ed allora, se sorge solo qualche perplessità quando si riferisce di una “significativa diminuzione” degli ingressi in carcere per delitti di droga nel corso del quadriennio, pur a fronte dell’aumentata operatività degli organi di Polizia, affiora invece una chiara contraddizione tra quella percentuale del 29% di tossicodipendenti detenuti secondo la Relazione, e quella del 27,7% esposta nel sito della Giustizia.
La misura è colma quando si scrive che “tra gli 11.433 soggetti tossicodipendenti che hanno usufruito di un provvedimento alternativo alla pena in base a quanto previsto dal Dpr 309/90, circa il 52% è di nazionalità italiana”. Peccato che le statistiche indichino solo 3332 casi pervenuti di misure alternative, a meno che non sia stata inventata una qualche rilevazione statistica ufficiosa. Per non dire di quel 48% di extracomunitari tossici che avrebbero avuto l’affidamento terapeutico! Proprio vero che con i proclami ideologici si fanno solo guai.