Ora che il miracolo di San Gennaro si è ripetuto alla presenza del sindaco Bassolino e di qualche contestatore, si può pacatamente svolgere un ragionamento sulla vicenda del cardinale Giordano? Per mille ragioni non sfiorerò neppure il merito dell’indagine giudiziaria e il tema dell’innocenza o della colpevolezza del presule. Intendo invece concentrare l’attenzione su come questo caso è stato inserito nella incessante querelle sul funzionamento della giustizia. La tentazione di molti di assimilare il caso Giordano a una persecuzione di regime quale quella pretesa di Berlusconi si è dispiegata inizialmente con l’accusa consueta allo “strapotere delle procure”. Ma dopo un autorevole intervento di Gianni Baget Bozzo, che escludeva qualsiasi relazione tra le due vicende giudiziarie, la polemica si è concentrata sulla asserita violazione del Concordato. D’altronde, e non era la prima volta, è stato proprio il cardinale Giordano con estrema arroganza a brandire il Concordato come uno scudo nei confronti della magistratura. Non stupisce che giuristi clericali, o zuavi pontifici come l’on. Giovanardi, abbiano sostenuto zelantemente un tale argomento. È invece sconvolgente trovare arruolati in tale compagnia liberali storici come Nicola Matteucci e l’editorialista del “Foglio”. Ciò conferma quanto la questione giustizia abbia ormai lacerato le coscienze e non consenta di esaminare una vicenda per quello che è. La teoria del complotto e la logica del muro contro muro hanno impedito di apprezzare gli interventi di Prodi e di Flick, cattolici che hanno difeso le ragioni dello Stato e non quelle della Chiesa. Senza dubbio l’Italia degli Ernesto Rossi e dei Piccardi, di Salvemini e di Calamandrei è sempre più dimenticata e un Paese senza memoria e senza radici si ritrova a balbettare perfino sui cardini della legittimità dello Stato laico e della democrazia. Il prossimo 11 febbraio saranno trascorsi settant’anni dalla firma dei Patti Lateranensi tra il cardinal Gasparri e il cavalier Benito Mussolini. Eppure le ombre di quel passato si allungano ancora in modo malsano e tentacolare, se è vero com’è vero che oggi non si levano voci per denunciare gli attacchi alla laicità della società italiana, come invece è accaduto in passato, ad esempio al Convegno degli Amici del Mondo nel 1957. Ma veniamo a esaminare il contenzioso sollevato dal cardinal Giordano e dal Vaticano nella nota di protesta. Tralasciando il richiamo alle prerogative dei cardinali equiparati ai principi di sangue, per nostra fortuna eliminati dalla Costituzione, restano le obiezioni per la spettacolarizzazione della perquisizione (per altro non effettuata), per il non rispetto della Curia vescovile (che avrebbe dovuto esser considerata come un luogo di culto), per la supposta illiceità delle intercettazioni telefoniche a un alto prelato; e, infine, per la mancata comunicazione preventiva all’autorità ecclesiastica competente del procedimento penale. Ebbene, alcuni dei problemi sollevati fanno parte della patologia del nostro sistema giudiziario, ma non c’entrano affatto con il Concordato e i suoi privilegi. Un conto è denunciare la carenza di garanzie per tutti i cittadini e invocare le giuste riforme, e se il caso di un cittadino che si ritiene più uguale degli altri può accelerare le modifiche attese, queste ben vengano comunque; altro è protestare per le supposte violazioni delle norme che regolano i rapporti tra Stato e Stato (anzi, in questa logica, la presa di posizione dell’altra sponda del Tevere, che lamenta alcune disfunzioni della giustizia italiana, si configura a rigore come un’ingerenza nella vita interna dello Stato italiano). Resta da esaminare il punto più scabroso, quello dell’informazione preventiva. Non è questa la sede per un approfondimento tecnico e rimando, per chi fosse interessato, allo studio di Mario Pisani del 1991 dedicato al processo penale nelle modificazioni del Concordato tra Italia e Santa Sede. Basti qui dire che, nel nuovo Concordato del 1984, la comunicazione all’autorità ecclesiastica (destinata a facilitare l’azione disciplinare) non deve essere inoltrata immediatamente, come prevedeva il Concordato del ’29: quindi la previsione dell’art. 129 delle norme di attuazione del nuovo codice di procedura penale del 1989 non è affatto in contrasto con la norma concordataria. Va aggiunto che l’inizio dell’azione penale si colloca nel momento della formulazione dell’imputazione e non nella fase delle indagini preliminari. Vi è da aggiungere che la violazione dell’obbligo non è espressamente sanzionata e non comporta nullità. Di fronte a un quadro così ineccepibile e limpido, si comprende come sia stata semplice e obbligata la risposta del governo italiano nonostante pressioni più o meno lecite. Quel che appare strabiliante è altro. Ad esempio, il silenzio con cui i partiti della maggioranza hanno seguito una vicenda così delicata: solo i Popolari hanno espresso disappunto per la conclusione cui il governo era giunto. Pare che nessuno abbia ben valutato le conseguenze di una ammissione di violazione del Concordato. Si sarebbe verificato, non sul matrimonio o sulla scuola, ma sulla giustizia, sull’attività giurisdizionale, cioè in un campo essenziale per l’affermazione e l’esistenza di uno stato autonomo, la riduzione dell’Italia a Paese a sovranità limitata. Non c’è da illudersi o sperare che qualcuno osi riprendere la battaglia per cancellare l’art. 7 della Costituzione o per abrogare il Concordato. D’altronde, quando Bettino Craxi, per acquisire benemerenze celesti e far dimenticare le tradizioni socialiste, sottoscrisse nel 1984 il nuovo Concordato con il Vaticano, l’opposizione fu condotta da minoranze estreme. Un risveglio di attenzione è urgentissimo. Il caso non è chiuso. Il Vaticano intende rilanciare il confronto con lo Stato italiano. Il cardinale Giordano serve anche a questo. Sul piatto non vi sono solo compensazioni sul terreno insidioso della scuola e della famiglia. Il Segretario di Stato, cardinale Sodano, si è mostrato preciso e determinato nel chiedere privilegi che neppure il Concordato fascista prevedeva. L’assalto sarà tentato all’interno della Commissione paritetica imprudentemente promessa dal governo, perché questo caso non avrebbe dovuto prevedere alcuna ulteriore sede di discussione. La scelta dei rappresentanti della Repubblica italiana è di estrema delicatezza. La delegazione dovrà essere reale controparte di quella vaticana. Una reviviscenza del clericalismo, infatti, metterebbe in pericolo libertà e democrazia.