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La commissione giustizia della Camera ha approvato, lo scorso 1° luglio, una proposta di legge sull’incompatibilità tra regime carcerario e AIDS. La proposta presentata da Giuliano Pisapia, in collaborazione con Vittorio Agnoletto, ne ha assorbita un’altra, depositata precedentemente da Franco Corleone. L’attuale normativa, infatti, non è in grado di contemperare con le esigenze detentive il diritto alla salute dei soggetti affetti da tali patologie, nonché quello a scontare una pena che non consista in trattamenti contrari al senso di umanità, così come garantito dalla nostra Carta costituzionale. L’ultimo rilevamento semestrale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, al 31 dicembre 1997, segnala la presenza di 106 persone affette da AIDS conclamato recluse nelle carceri italiane; il 3,81% del totale dei detenuti, ben 1.838, sono sieropositivi: di questi, 1.636 risultano tossicodipendenti. La legge 14 luglio 1993, n. 222, aveva inserito l’articolo 286 bis nel codice di procedura penale, disponendo il divieto della custodia cautelare in carcere dei soggetti affetti da HIV per i quali ricorra una situazione di incompatibilità con lo stato di detenzione. La sussistenza di tale stato veniva dichiarata dal giudice, nei casi di AIDS conclamata o di grave deficienza immunitaria, secondo le indicazioni contenute nel decreto dei ministri della Sanità e di Grazia e giustizia del 25 maggio 1993, nonché le procedure diagnostiche e medico-legali per accertare l’affezione da HIV. In più, l’articolo 2 della stessa legge 222/93 aveva introdotto, all’articolo 146 del codice penale, un’ulteriore ipotesi di differimento obbligatorio dell’esecuzione della pena non pecuniaria, quando essa debba avere luogo nei confronti di persona affetta da infezione da HIV, nei casi di incompatibilità con lo stato di detenzione, ai sensi proprio del già citato articolo 286 bis del c.p.p. Ma poi, come è noto, la disciplina dettata dalla legge 222/93 è stata oggetto di due sentenze della Corte Costituzionale, che ponevano fine, in sostanza, all’incompatibilità assoluta tra stato di detenzione e soggetti affetti da AIDS. Se la misura di custodia può avvenire senza pregiudizio per la salute del soggetto e di quella degli altri detenuti – afferma la Corte – allora deve venir meno il divieto di custodia cautelare in carcere, previsto dall’articolo 286 bis del c.p.p. La Corte, inoltre, è intervenuta anche sull’ipotesi di differimento obbligatorio previsto dall’art. 146 c.p., ritenendo la norma cassata perché in contrasto con il principio di uguaglianza stabilito dall’articolo 3 della Costituzione: i malati di AIDS potevano godere, in qualche modo, di un trattamento “privilegiato” rispetto agli altri malati. L’opportunità di disporre della misura restrittiva in carcere, rimane, dunque, facoltà unica del giudice. E la discrezionalità dei giudici, in un campo tanto delicato, ha provocato già troppi danni. Appare inutile, infatti, ricordare che è quasi impossibile, in carcere, seguire le più appropriate terapie anti-infettive, nonché i trattamenti terapeutici anti-AIDS basati sulla somministrazione di combinazioni di farmaci anti-retrovirali, inclusi gli inibitori della proteasi. Il testo ora approvato dalla commissione Giustizia della Camera prevede che nel caso di AIDS conclamata o di grave deficienza immunitaria (definiti da un nuovo decreto che tenga conto dei più recenti criteri medici) non possa essere disposta la custodia cautelare in carcere. Viene così modificato l’articolo 275 del c.p.p. in modo che, nel caso vi siano esigenze cautelari di eccezionali rilevanza, il giudice potrà disporre gli arresti domiciliari presso una struttura di cura e assistenza. E poi, viene introdotto l’articolo 47 quater nell’ordinamento penitenziario, che prevede la possibilità, per i condannati, di accedere alle misure alternative alla detenzione (affidamento al servizio sociale, detenzione domiciliare) per sottoporsi a un programma di cura e assistenza. Dunque, il nuovo testo tiene conto delle sentenze della Corte Costituzionale: è prevista, infatti, anche la revoca degli arresti domiciliari o delle misure alternative nel caso di gravi reati o di inosservanza del programma di assistenza. Ora la parola passa all’intero parlamento, cui spetta il compito di approvare questa semplice legge, in grado di coniugare al meglio il diritto alla salute dei detenuti con le esigenze di difesa sociale e di tutela della collettività.