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L’informazione sul sociale scorre in imprevedibili percorsi contrapposti, legati alle teorie, alle tendenze, ai modelli sociali e ai vari “credo”, agli investimenti economici e ai bisogni: da una parte, i percorsi consumati sulle strade, i tam tam nei gruppi informali, il lavoro dei centri autogestiti, il volontariato e, dall’altra, le metropoli virtuali dell’informazione, in cui la prospettiva è talmente assurda da poter fornire alla razionalizzazione più dubbia uno spazio in cui sussistere, al tutto e al suo esatto contrario la possibilità dell’incertezza e dell’ignoranza.

Nel mondo reale ci sono città in cui gli immigrati sopportano file d’ore all’offerta di un miraggio, vendono oggetti raccolti insieme sui marciapiedi, occupano chiese o crollano in un uso sconsiderato d’alcool e droga. Eppure, in quelle civilissime città ologrammi virtuali mostrano l’esistenza di centri per immigrati, uffici, istituti specializzati, operatori e mediatori transculturali, l’informazione mass-mediale evidenzia convegni e ci conduce nelle lustrate sale dei comuni, alle presentazioni ufficiali dei grandi progetti sociali.

Nel mondo reale esistono decine di nuove droghe, esistono i suoi consumatori, esistono dei Ser.T., formati ai tempi dell'”emergenza eroina”, che stentano a capire come possano esistere droghe che non danno dipendenza, esiste un sociale privato che si occupa d’ecstasy e di discoteche, con un occhio verso i finanziamenti e un altro verso le carenze metodologiche intrinseche nelle ricerche, spesso inibite dalle leggi o dai moralismi.

In questo stesso mondo, reale e palpabile, un fiorente mercato della chimica del piacere sforna droghe disegnate su misura per i desideri di una generazione che predilige l’uso della cannabis a quello del vino, che gioca con le droghe come lo psichiatra con i suoi farmaci.

In Inghilterra, in questo periodo, sono stati individuati 36 nuovi tipi di ecstasy-like, ossia prodotti simili all’ecstasy ma con effetti a volte molto differenti, alcuni dei quali provocano allucinosi protratte fino alle 48 ore. In Italia, se questi “prodigi” chimici arriveranno nello stomaco dei clubbers lo scopriremo solo tra qualche anno, quando alcune parziali statistiche sui sequestri saranno messe a disposizione sugli annuali del ministero. Troppo tardi per progettare un efficace intervento di riduzione del danno. Occorrono centri sperimentali che diano in tempo reale i risultati delle loro analisi sulle sostanze presenti sul mercato. Quale logica c’induce ad arrivare sempre dopo? A cose fatte e a persone “strafatte”?

Nella metropoli virtuale, invece, i rotocalchi invecchiati precocemente, hanno esaltato progetti in cui l’intervento sociale diventa un controllo di massa dei liquidi organici o antepone l’idea isolata di chi illustra trattamenti ospedalieri obbligatori per chiunque abbia consumato una sostanza come l’ecstasy. Il distacco dalla realtà è fermo lì, nero su bianco, in un contesto così forte da giustificare, come una marca da bollo su di un foglio di carta, le idee insensate. Possiamo osservarlo tutti.

Penso a quello che accade dietro quell’inchiostro o dietro quei raggi velenosi che escono dal tubo catodico, a quelle persone che costruiscono l’ambiente artificiale, i paradisi sintetici e inesistenti. Mi domando se possiedono la consapevolezza dell’agire, l’idea dei mille effetti d’ogni parola spesa selvaggiamente sull’argomento.

Credo piuttosto si sia creata un’altra macchina mostruosa che genera universi virtuali, composti da situazioni normali e controllate, i quali automaticamente si contrappongono alla realtà della vita quotidiana. Una macchina autosufficiente, ingovernabile nella sua totalità, impazzita dall’insistenza dei mille input e delle mille falsità richieste. Non è forse questa la vera nuova droga dell’umanità? Non è forse questo il sommo stato delle cose in cui si modificano gli stati di coscienza? Un posto ideale dove non occorre sfuggire alla realtà perché questa stessa viene virtualizzata, modificata, deteriorata, plasmata, predisposta per essere accettabile, accattivante e soprattutto credibile. La droga del delirio collettivo si fa spazio tra le persone nella società dell’immagine e a volte, per essere sopportata o temporaneamente dimenticata, deve essere coadiuvata da altre droghe, prescritte o clandestine.

Non possiamo tuttavia cedere al pensiero che questi universi paralleli siano eterni, che il distacco tra reale e virtuale sia incolmabile. Occorre andare sulla strada, ribaltando l’arma comunicativa contro il sipario artificiale che oscura la realtà, inventando nuove forme, più umane e quindi fondamentalmente più accettabili, nel rivolgersi all’altro. Sperimentare nuove forme di protesta, adeguate all’avversario, capaci in altre parole di infrangere il vetro che separa il vero dalla sua rappresentazione ideale.

Il 5 Dicembre, Bologna sarà il teatro di una di queste sperimentazioni, grazie all’azione congiunta di tutte le principali realtà che operano dal basso sul territorio, dal Livello 57 ai Centri giovanili comunali, dalle radio di movimento alle scuole di teatro; si concretizzeranno per le vie del centro una serie d’eventi culturali, di street-rave che cominceranno di pomeriggio del sabato per concludersi la domenica, congiungendosi poi assieme a comporre il maggiore evento “techno” dell’anno. L’idea è chiara: dinanzi all’immagine preconfezionata di una città europea della cultura, portare sotto gli occhi di tutti, la realtà dell’inesistenza e della sottrazione degli spazi sociali invidiati da tutta Europa, la miseria dei fondi assegnati alle politiche giovanili, il neo delle case e dei mezzi pubblici con i prezzi più alti d’Italia. E se gli occhi di tutti saranno attratti dal sound di quella giornata…