La “Legge per la medicalizzazione e prevenzione della droga” promulgata dallo stato di Washington nel 1997 asserisce che “dobbiamo… riconoscere che l’abuso di droga e la tossicodipendenza sono problemi di salute pubblica e dovrebbero essere considerati vere e proprie malattie”. Non è possibile discutere con una qualche intelligenza in merito a tale affermazione senza concordare sull’uso dei termini “abuso di droga”, “tossicodipendenza”, “cura” e “malattia” e sul genere di condotta personale che giustifichi il controllo coercitivo dello stato tramite misure di salute pubblica. Dai tempi antichi fino a pochi anni fa, il termine salute pubblica, distinto da quello di salute privata, veniva usato per indicare quelle attività intraprese da un governo (più propriamente lo stato, servendosi dei propri poteri economici e coercitivi) per proteggere gli individui da agenti patogeni o da condizioni ambientali, sia presenti in natura sia causate dagli esseri umani. Le misure principali di salute pubblica erano costituite dall’igiene e dal controllo delle malattie infettive, volte a proteggere la comunità dalle malattie virali (quali il colera, il tifo, ecc.). In questo contesto, il controllo delle malattie veneree esemplifica una considerazione importante: il comportamento della prostituta, che espone il cliente al rischio di contrarre una malattia venerea, era ed è considerato un problema di salute pubblica e giustifica il controllo coercitivo della condotta della donna, mentre il comportamento del cliente, che espone se stesso al rischio di un’infezione venerea, era ed è considerato un problema di salute privata, e non giustifica il controllo coercitivo della sua condotta. Quando designiamo come problema di salute pubblica il comportamento di un individuo che espone se stesso al rischio di “tossicodipendenza”, allarghiamo drasticamente la portata della legittima coercizione statale in nome della salute. Le misure di salute pubblica giocano un ruolo cruciale, benché trascurato, nella moderna filosofia politica. Interventi giustificati nel nome della salute (definiti come terapeutici e non punitivi) non rientrano nel raggio d’azione del diritto penale e sono perciò esenti dalle limitazioni imposte dalla Costituzione alla funzione coercitiva dello stato. Al contrario, tali misure (che secondo quanto viene divulgato dovrebbero proteggere al meglio gli interessi dei “pazienti malati”) sono considerate “servizi” preziosi forniti dallo Stato Terapeutico (quell’entità politico amministrativa che unisce Medicina e Stato, proprio come un tempo erano uniti Stato e Chiesa). Con lungimiranza, John Stuart Mill anticipò tale tattica insidiosa: “La funzione preventiva del governo – ammonì – è più soggetta ad abusi, a detrimento della libertà, della funzione punitiva; poiché non esiste praticamente nessun aspetto della legittima libertà d’azione di un essere umano di cui non si possa dire, a ragione, che aumenti le opportunità per un reato di questo o di quel genere”. Mill non avrebbe potuto essere più esplicito se si fosse rivolto all’attuale politica americana sulla droga. È lapalissiano che il libero accesso a una specifica droga, come il libero accesso a un oggetto qualsiasi, aumenta le opportunità di servirsene e di abusarne: libertà d’azione significa poter agire con criterio o senza, favorendo o danneggiando se stessi. È anche lapalissiano che, poiché “nessun uomo è un’isola”, si può ritenere che ogni azione privata influenzi il benessere economico, esistenziale o medico di altri individui e si reputi che possa rappresentare “un problema di salute pubblica”; e se proteggere gli individui da se stessi rientra nella sfera della salute pubblica, allora non esiste comportamento individuale che non possa essere classificato come problema di salute pubblica, soggetto a controllo per mezzo di sanzioni mediche. Fino a non molto tempo fa, ad esempio, la masturbazione (in precedenza denominata “abuso di sé”) veniva considerata un problema di salute pubblica. Ma questa è un’altra storia. È ironico che, nel 1997, gli americani consiglino la “medicalizzazione della droga” come cura del problema americano della droga. È stata la legge di “medicalizzazione della droga” del 1914 (meglio conosciuta come Harrison Narcotic Act) che ha trasformato analgesici e sedativi ampiamente usati in “narcotici” pericolosi, tenuti sotto controllo speciale da parte del governo federale e disponibili soltanto dietro prescrizione medica. Horribile dictu, non sarà per caso che la sfida a tali controlli non è una malattia, e che alla radice del problema che ora tentiamo di risolvere con una “medicalizzazione” ulteriore c’è l’interferenza dello stato coercitivo con il libero mercato della droga (così come accade quando lo stato interferisce sulla disponibilità di altre merci)? Non siamo forse degli sciocchi se evitiamo di chiederci: cui prodest? Chi ha tratto vantaggio in passato dalla medicalizzazione della droga e chi ne trae vantaggio oggi? Il dado è tratto: comportamenti scorretti d’ogni genere sono (definiti come) problemi medici. Il comportamento indesiderato, esemplificato dall’uso di droghe illegali, è per decreto, una malattia. I concetti di malattia e di cura sono stati politicizzati. La definizione data dalla World Health Organization per l’espressione “abuso di droga”, “l’uso di una droga non approvata da una società o da un gruppo interno a tale società”, è esplicativa. Sono quindi dottori, giudici, giornalisti, difensori delle libertà civili, tutti coloro che concordano (o fanno finta) sul fatto che l’auto-somministrazione di eroina sia una malattia e la somministrazione di metadone a un “tossicodipendente” tramite un organo statale sia una cura. Certi considerano lo Stato Terapeutico uno strumento della compassione e della scienza al servizio del “progresso morale” e conseguentemente appoggiano la “medicalizzazione” in tutte le sue forme. Altri considerano lo Stato Terapeutico come uno strumento di crudeltà e di pseudo-scienza al servizio di una nuova forma di statalismo e di conseguenza si oppongono alla “medicalizzazione”.
* M.D., Professore emerito di psichiatria, Syracuse, NY