ACROBAZIE PSICHEDELICHE
“Con gli allucinogeni (…) si finisce spesso sul giornale: o per ricoveri urgenti (…); o per incidenti (…). Gli incidenti sono curiosi: come quello che con una moto di grossa cilindrata finisce sul tetto di un camion, pur essendo un guidatore provetto. Incidenti possono capitare a tutti, ma con una meccanica che abbia la sua logica: in questi casi sembra che il pilota abbia avuto (…) un rapporto con lo spazio del tutto diverso da quello reale, compiendo manovre impensate.
(E. Paroli, Direttore di Tossicologia Medica, su “il Delfino”, dicembre 1976)
MEGLIO MORTO CHE DROGATO
Secondo la vigente legge antidroga, il possesso di uno spinello può essere punito con la sospensione della patente fino a tre mesi. Un provvedimento chiaramente punitivo, che non ha nulla a che fare con la sicurezza degli utenti della strada, e che è spesso seguito dal rilascio di una patente “condizionale”, per cui l’interessato deve sottoporsi a periodici test delle urine, con relative spese e perdite di tempo (vedi “Fuoriluogo”, luglio 1998) Ma che cosa succede quando il titolare della patente dimostra chiaramente di guidare in modo pericoloso, o quando addirittura alla guida provoca la morte di una persona? Leggiamo a caso su “Il Tirreno” (cronaca di Grosseto, 26 giugno), che C.M., 24 anni, colpevole di aver ucciso con la sua auto G.F., 59 anni, se l’è cavata meglio che per esser stato trovato con uno spinello in tasca: sospensione della patente per due mesi. E senza “condizionale”.
TOLLERANZA IN NERO
Il capo della polizia antidroga di Middlesborough, definito “il massimo esponente britannico della tolleranza zero” (espressione per indicare il livello di estrema durezza nella guerra alla droga), apprezzato per la sua inflessibilità sia dai conservatori che dai laburisti, è stato sospeso dal suo ufficio, perché accusato di aver fatto distribuire illegalmente eroina ai “tossici pentiti” in cambio di delazioni. (“London Times”, 2 dicembre 1997)
PRIGIONIERI DI GUERRA
Secondo il direttore dell’UNDCP, “gli USA sono l’unico Paese che ha vinto la guerra alla droga” (“Panorama”, 15 gennaio 1998). In verità, le stesse autorità USA affermano il contrario. In ogni caso, bisogna ricordare che questa guerra “vincente” ha fatto mezzo milione di prigionieri. Riportiamo qui alcuni casi esemplari, individuati da una ricerca casuale sulla repressione antidroga in USA: – 99 anni di galera per vendita di 1/10 di grammo di cocaina;
– 24 anni con accusa di “cospirazione” per aver importato e distribuito pasticche di ecstasy;
– ergastolo più 5 anni (sic!) per “cospirazione” per aver posseduto crack con l’intento di venderlo;
– 16 anni per “cospirazione” per aver prodotto marijuana, e per essere “notoriamente a conoscenza” di altri coltivatori di marijuana;
– 70 anni per la coltivazione di 66 piante di marijuana, oltre a 20 anni per possesso di marijuana alla presenza di un figlio minorenne, e a 2 anni per possesso con l’intento di vendere, per un totale di 93 anni di galera, a un malato di artrite che usava la sostanza come medicina.
(cfr. O’ Hare su IJDP, 9, pp. 81-83)
MUTILATI DI GUERRA
L’idea di mutilare i drogati è storicamente antica. Nel 1600, ad esempio, le autorità indiane tagliavano le labbra ai fumatori di tabacco. Nel solco di questa tradizione, e nel quadro della vincente “guerra alla droga” USA, il deputato democratico Bobby Moak (Massachusetts) ha proposto una legge secondo cui chi è condannato per droga può sostituire la prigione o la multa con l’amputazione di una parte del corpo, da scegliere dietro accordo fra il condannato e il tribunale. Il deputato Moak ha spiegato che la sua proposta è stata fatta per dimostrare che lo stato fa qualcosa per combattere la droga. (“High Times”, maggio 1998)
RICORDO DI CAROL
Il 5 agosto 1970 gli attori americani Carol Lubrovico e William Berger vengono arrestati assieme ad altri dodici amici perché nella loro villa a Praiano un commando di trenta poliziotti ha trovato 0,9 grammi di hashish. Carol viene internata al manicomio criminale di Pozzuoli, dove subisce un attacco di appendicite, che dai medici non viene curato, perché i dolori vengono diagnosticati come sintomi di astinenza dalla droga. Dopo due mesi di sofferenze, Carol viene trasportata all’Ospedale degli Incurabili a Napoli, dove muore di peritonite il 10 ottobre 1970. I giornali annunciano che l’attrice era stata “distrutta dalla droga”. Di guerra alla droga allora non si parlava ancora. Ma l’ignoranza, l’ottusità e la ferocia dei “guerrieri” aveva già cominciato a fare le sue vittime. Per la morte di Carol nessuno ha pagato: e anche di questa impunità è fatta la guerra alla droga.