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Il viaggio tra le procedure dei Sert nei confronti dei consumatori “prefettati”, cioè segnalati ai servizi per consumo personale, continua a Torino, dopo aver toccato, nel numero scorso, Roma, Faenza e Milano. Silvana Sinopoli, assistente sociale del Sert della Asl 4, è anche coordinatrice del Gruppo cittadino per il rapporto con l’Autorità giudiziaria e la Prefettura, attivo dal 1992.
Oggi, dice Sinopoli, il Gruppo è alle prese con «la realtà di due procedure mescolate. Infatti le sanzioni per il consumo e gli invii ai servizi sono previsti sia con la vecchia che la nuova legge antidroga. Attualmente stanno cominciando ad arrivare i segnalati della Fini-Giovanardi. Con la nuova legge al Sert ci vengono ancor meno: la sanzione se la prendono comunque, poi sono inviati al servizio, hanno magari un anno di tempo per dimostrare l’astinenza, è chiaro che manca l’incentivo, i consumatori pensano beh, tra un anno vedremo… La sanzione ha un arco di tempo molto ampio, tra tre e dodici mesi, e i Not (“nuclei operativi tossicodipendenze” istituiti presso le Prefetture, ndr) si chiedono quale sia mai un criterio sensato per deciderne la durata». In passato, i Sert hanno cercato di dare senso alla normativa, attivando una collaborazione perché i Not non fossero destinati a un ruolo meramente burocratico. «Oggi – dice l’operatrice – la presa in carico non più alternativa alla sanzione lascia spazio alla dimensione solo punitiva, e io non ho mai visto qualcuno diventare astinente perché gli tolgono la patente per tre mesi». L’accordo più significativo, spiega Sinopoli, è stato sull’articolo 75, con «la decisione di non chiudere negativamente le cartelle delle persone in trattamento, una interpretazione meno repressiva della legge, che potrebbe anche essere applicata rigidamente: ti diamo un certo tempo, se in quel tempo gli esami della urine non danno esito negativo, si va con le sanzioni. Invece noi abbiamo deciso che se le persone sono in trattamento da noi al Sert la cartella rimane aperta: finché sei in trattamento hai diritto di starci. Il periodo di 30 giorni richiesto per arrivare all’astinenza è indicativo, non può essere tassativo».
Insomma, ciò che si può chiamare la ricerca pratica del primato della cura sulla sanzione. Aggiunge Silvana Sinopoli: «Se a prevalere è la logica della cura e non quella meramente repressiva, l’imperativo “astinenza in un mese” non può essere rispettato. Bisogna arrivarci per legge, all’astinenza? Va bene, ci arriveremo, prima o poi, ma ci vuole del tempo. La cartella viene aggiornata ogni sei mesi, e se le persone non hanno raggiunto l’obiettivo, resta aperta». Resta comunque difficile la situazione dei consumatori “socialmente compatibili”, coloro che sono in terapia metadonica e hanno una vita personale e sociale integrata: qui si riproduce il paradosso che fa di una terapia una droga: «Stante che il metadone è in tabella – spiega – in Prefettura noi non riusciamo a chiudere le cartelle di chi è in terapia. Questo vuol dire che, sì, continuano a essere in carico da noi, però anche che non finiscono mai di essere etichettati tossicodipendenti. Ne abbiamo discusso, ma senza esito: il Prefetto non può dare il benestare se risulta l’assunzione di una sostanza presente in tabella». Per non parlare della Motorizzazione, che prevede percorsi di controllo «che arrivano anche a dieci anni, e questo vale anche per il metadone. Purtroppo con Medicina legale non abbiamo alcuna contrattualità». I consumatori di canapa, per lo più sottoposti all’articolo 121, i Sert torinesi non li vedono proprio: «Qui la Prefettura ha scelto che non vengano inviati a noi, fanno loro i colloqui e avvisano i genitori. Parliamo di ragazzini con uno spinello o di qualcuno che si è impasticcato in discoteca. Mi pare una scelta positiva non inviare a un servizio che si occupa di dipendenze patologiche le situazioni che sono “sane”, e privilegiare altre realtà sul territorio». Va detto, in ogni caso, che sono assai pochi i segnalati ex articolo 121 che effettivamente si presentano in Prefettura: «I ragazzini si confrontano tra loro, sanno che è un passaggio burocratico e non se ne interessano, quelli che si spaventano o lo dicono ai genitori sono davvero pochi! Direi che è un dispositivo che non funziona molto». Quanto agli altri segnalati,
il dispositivo sanzionatorio non aggiunge nulla:

«Li conosciamo già tutti», dice l’operatrice. Ma la segnalazione fa almeno emergere un sommerso, per esempio i cocainomani? Pare proprio di no. Secondo Sinopoli, «di cocainomani puri e sommersi ne arrivano pochissimi, perché sono situazioni socialmente diverse e anche più protette: chi è il professionista che si fa beccare con l’articolo 75?».
Dunque: gli articoli 121 per lo più non si presentano, gli articoli 75 sono tutti già noti e dunque la sanzione è solo afflittiva per loro e inutile per la presa in carico, quelli in cura metadonica sono trattati come “tossici a vita” e i nuovi consumatori non vengono intercettati. Non sembra la descrizione di un dispositivo efficace.
Anche per Marco Battini, responsabile delle unità di strada della Papa Giovanni XXIII (affiliata Cnca) a Reggio Emilia e membro del Coordinamento nazionale nuove droghe, la minaccia sanzionatoria è poco utile ed anzi rischiosa. Il suo osservatorio è la relazione nei luoghi naturali: «Capita che siano i ragazzi a dirci di essere stati convocati e capita di accompagnarli e informarli su cosa significa la convocazione. La loro prima reazione è quella di paura e di grande ansia, anche perché spesso le forze dell’ordine al momento del fermo non danno loro spiegazioni sufficienti. Sono giovani e per loro è la prima volta che si misurano con un fermo di polizia. È un impatto duro, anche perché per loro il consumo di canapa è un’abitudine normale». Secondo Battini, l’effetto paradosso della segnalazione è che «imparano soprattutto a tener nascosto il loro consumo, si fanno più accorti e non è un apprendimento nel segno della maggior consapevolezza. Le frasi che senti sono del tipo “non mi porto più dietro la sostanza”, oppure “scelgo meglio il luogo dove consumare”. Non mi pare poi che abbia un qualche ritorno sul consumare meno, meglio, o sul non consumare. Insomma, la paura blocca, la comprensione fa agire il cambiamento». In Prefettura, gli articoli 121 ci vanno, per non rischiare oltre, ma si fermano per lo più al primo colloquio, quando capiscono come gira non si ripresentano più. Mentre invece, dice Battini, «una battaglia che dobbiamo fare è evitare la clandestinità dei consumi, permettere alle persone di portare le proprie domande nei contesti giusti e in modo volontario. I giovani li incontri, non hai bisogno dell’appiglio delle sanzioni amministrative! Se sei nei luoghi dove loro sono, con uno stile relazionale adeguato, li incontri eccome, e le domande arrivano». L’operatore osserva poi che avviare la comunicazione a partire dal dispositivo della legge, non solo finisce con l’enfatizzare paura e non consapevolezza, ma ha anche un effetto più profondo: «C’è il consumo, ma ci sono anche molte altre cose nella vita dei ragazzi che non ruotano attorno alla sostanza. Il rischio di questo dispositivo è quello di finire con il problematizzare ciò che problematico non è, mettendolo arbitrariamente “al centro”, mentre i vissuti sono molto più complessi. Ci sono sessualità, guida e incidenti stradali, consumismo e quant’altro, dobbiamo uscire dalla dimensione totalizzante “droga” e lavorare sui comportamenti. Il modello repressivo rischia solo di “costruire” un bisogno, non di fare uscire quello reale». Altre sono le urgenze, dice Battini, per un buon lavoro con i giovani: l’allerta rapida e la possibilità di analisi delle polveri per una informazione corretta e salva-vita; stabilizzare i servizi di strada che operano nei luoghi del consumo e avere servizi che lavorino su rischi e danni che non sono definibili “dipendenza” ma portano domande diverse. «Le linee guida ministeriali sulla riduzione del danno del 2000 – conclude – parlavano di educazione alle droghe, la drug education anglosassone. Coi tempi che corrono non si può nemmeno pronunciarla, questa espressione, ma è indubbio che noi abbiamo il compito di lavorare sulla consapevolezza nel consumo. E anche di diversificare le nostre modalità di lavoro. Per esempio: come si limita il rischio dell’eroina fumata dai più giovani?». (2. fine)