È il 14 gennaio 2008. In tarda serata si compie la virata nella sala del Consiglio comunale di Torino, verso una delle due mozioni del Pd, quella che prevede una commissione di studio sui trattamenti con eroina per cercare di definirne la fattibilità in Italia, apportando le dovute modifiche all’attuale legge vigente in tema di dipendenze, la Fini Giovanardi.
Non era questo l’obbiettivo immediato, indispensabile e perseguibile. La mozione che prevedeva l’ipotesi di istituire una narcosala sperimentale in città, quella con il sostegno della sinistra, quella di settembre, dopo un’infinità di rimandi ad altra data non ha ottenuto i voti necessari: tredici favorevoli e venti contrari, quattro consiglieri del gruppo iniziale dei “venti” ci hanno ripensato e tre si sono astenuti. Lo spostamento dei voti da favorevoli a contrari riflette gli spasmi intestini al Pd tra la corrente laica e quella cattolica. Ed eccola, la politica che interloquisce con se stessa, e perde contatto con una parte di possibile storia sociale modificabile.
La centralità della questione è sempre lì, tale e quale, al parco di Basse di Stura di Torino, tra i cassonetti dell’immondizia di San Salvario e Porta Palazzo, sotto i ponti che attraversano la Dora ed il Po, e sulle loro rive, nei parcheggi dell’autovetture, e in tutti i luoghi più sudici, nascosti e inadeguati che è possibile trovare. Questa è la realtà di tante altre città nel nostro paese, una realtà chiara a molti operatori del settore.
Altrettanto certe sono le morti per overdose che si sono verificate recentemente in Italia, due delle quali qui a Torino nelle ultime settimane: sono un dato purtroppo incontrovertibile.
Così, nonostante la vera emergenza sanitaria, l’opportunità politica e sociale di ampliare le attività di riduzione del danno è stata rigettata insieme a un’idea che in 72 municipalità europee si sta praticando con successo. Si è rinunciato ai vantaggi per la salute delle persone direttamente coinvolte, al miglioramento delle condizioni degli abitanti dei quartieri coinvolti da scene di spaccio e consumo per strada, a cui viene negato il legittimo desiderio di non assistervi. Mentre l’ambizione di promuovere la città come polo culturale europeo non conosce sosta, si evita di affrontare con razionalità e coraggio un nodo educativo, sintomo di un società che è in continuo cambiamento: una tendenza alla rinuncia che temiamo sia destinata a riprodursi nei tempi a venire, confermando l’incapacità di modificare un’interpretazione teologizzata del fenomeno del consumo di droghe.
C’è ancora la possibilità di riaprire il tema delle stanze del consumo? Grazie alla petizione promossa dalle associazioni Adelaide Aglietta (Pr), Malega9 e Forum Droghe, sostenuta da oltre mille firme di cittadini torinesi che l’hanno sottoscritta, che chiede l’apertura di almeno una narcosala in città, abbiamo avuto una ulteriore opportunità di dibattito. Andremo avanti, comunque. Perché c’è una possibilità praticabile, ed è rilanciare l’argomento a livello nazionale, con azioni e iniziative che rimandino alla questione narcosala e insieme la ripresa della battaglia contro la legge Fini Giovanardi, giunta orami ai due anni di vita.
È necessario ampliare le iniziative possibili attraverso un coordinamento nazionale di promotori? E indire un confronto che elabori strategie ancora più incisive di quello che si è riuscito a fare sino ad ora? Io dico di sì.
Angelo Pulini