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Beppe Grillo pare ispirarsi a Woody Allen: «Non vorrei mai far parte di un club che accettasse come socio uno come me». L’impasto di rabbia e dura critica (motivata, eccome) verso i partiti ha partorito – per ora – un progetto di liste civiche, programmaticamente precluse ai pregiudicati. Dunque pure a Grillo, se è vero quanto ha ricordato l’acuminato giornalista Filippo Facci: la condanna toccata al comico genovese, dopo un grave incidente d’auto, a un anno e tre mesi per omicidio colposo. Certo, ci sono reati e reati, ma è anche vero che tra i 25 politici additati al pubblico ludibrio e trattati da zecche («Disinfestiamo il Parlamento») dal V-day almeno la metà sono stati condannati a pene inferiori.
Il «nuovo Rinascimento» (ma il copyright è del guru Armando Verdiglione) propugnato dal comico prende le mosse da tre punti: «no ai condannati in Parlamento; no ai politici di professione, due legislature e poi tornino al loro lavoro; sì alla preferenza diretta».
Vi è una sapiente volontà di colmare un vuoto, ma anche di dare riconoscimento a pulsioni e umori lividi e biliosi, sinora (giustamente) nascosti. Pure qui, la tecnica e l’intuizione non sono originali: in passato fu Radio Radicale a fare emergere la pancia del Paese, aprendo i microfoni a “Radio parolaccia”. E non fu un bello spettacolo. Ora è ancor peggio, perché non c’è ascolto di brontolii e odi del popolo, c’è il monologo del tribuno. La democrazia dal basso è altra cosa: parla alla testa, e semmai al cuore, delle persone, non ai bassi istinti.
Quanto alla vocazione antipartito di tale movimento, c’è da avere seri dubbi, dato che il suo pronto sostenitore è stato Antonio Di Pietro, vale a dire colui che ha portato in Parlamento, oltre alla cultura del “tintinnare delle manette”, tal Sergio De Gregorio, campione di quelle degenerazioni della politica che si chiamano rendita di posizione e trasformismo.
Il maggiore collante del “grillismo” paiono effettivamente le manette, passione che accomuna anche Marco Travaglio, oltre ai residui dei Girotondi. Non a caso Grillo ha subito annunciato un “Libro bianco sulle vittime dell’indulto”. Ciò rende più agevole comprendere il perché anche alle Feste dell’Unità l’emulo di Coluche abbia raccolto ovazioni: attaccare il centrosinistra e fustigarne i leader è peccato veniale; conta più l’essere d’accordo su tolleranza zero, riempire le galere, gogna perpetua per i condannati. I sindaci sceriffi condividono e ringraziano.
Grillo e Vaffa-day hanno goduto di un lancio e un marketing invidiabile, altro che Internet: settimane di titoli dei Tg e di prime pagine dei quotidiani. Anche qui, come sui pregiudicati, Grillo dimostra un interessato strabismo, accusando Nanni Moretti e i Girotondi di essere stati pompati dai media. Come il bue che dà del cornuto all’asino.

«Ci vedo dietro l’ombra del “law & order” nei suoi aspetti più ripugnanti; ci vedo dietro la dittatura»: ha commentato Eugenio Scalfari su la Repubblica. E se lo dice un giornale non insensibile alle campagne securitarie c’è da crederci.

È serio preoccuparsi di un teatrante? Forse sì, se si ricorda che il fondatore del Partito dell’Uomo Qualunque, Guglielmo Giannini, era un commediografo. E che portò acqua e consensi alla Dc e alla reazione, non certo al cambiamento. Illuminante, al proposito, la posizione di un autorevole “grillino” della Val di Susa, peraltro attivo nella No Tav: «Vince Berlusconi? E chi se ne frega!». Eloquente anche il suo percorso: Pci, Autonomia operaia, Lega; oggi, deluso da Bertinotti, si dichiara «né di destra né di sinistra». Sarà. Ma le picconate del “grillismo” si sfogano di preferenza contro il centrosinistra. Dimmi chi è il tuo nemico e ti dirò chi sei.