È un peccato che su un giornale come Repubblica, accanto a iniziative utili come il dossier sulla droga in un recente supplemento Salute (7 giugno), si trovino ora mistificazioni plateali (vedi l’ultimo Fuoriluogo), ora interventi ambigui come quello firmato il 31 maggio da Joaquin Navarro-Valls, già portavoce del Vaticano durante il papato di Wojtyla. Forte della sua preparazione medica, Navarro-Valls unisce la sua voce ben intonata al coro degli arcangeli che con spade fiammeggianti ci difendono dai démoni della droga: diciamo ben intonata poiché diverse cose che afferma sono veramente degne e giuste, eque e salutari, come si direbbe in lingua liturgica – per esempio, l’analisi del dilagare dell’uso di cocaina come tiramisù da parte di soggetti spaesati, stressati, frustrati, timorosi di fallimenti lavorativi, sociali e sessuali, aspiranti a una efficienza irraggiungibile.
A questo punto, tuttavia, ci si deve chiedere perché Navarro-Valls ometta di definire il contesto al quale si applicano queste sue considerazioni. Non parla, per esempio, della farmacologizzazione sfrenata di ogni problema umano, a partire dall’uso – appunto come tiramisù – di antidepressivi (Prozac e altri) da parte di soggetti non affetti da depressione clinica (ma a che punto sono le partecipazioni farmaceutiche vaticane?). Inoltre tace sul confronto tra consumi problematici e non problematici: come se parlando di alcol si nascondesse il fatto che la stragrande maggioranza dei bevitori assumono dosi moderate le quali contribuiscono non solo al benessere, ma anche al miglioramento della salute fisica.
Ahi ahi, il nostro sembra aver rimosso il fatto che la teologia morale cattolica non fa distinzione tra peccati di pensiero, parole, opere e omissioni. Anche noi a pensar male si fa peccato, ma come disse il Patriarca è probabile che ci s’azzecchi.