Si sono spenti da poco gli echi folcloristici dell’ultima bordata strapaesana (case chiuse sì, case chiuse no), teatrino retorico dove masse, massaie e opinionisti, compagni compresi, sfogano con cadenza in media trimestrale, senza pudore ed economia alcuna, le più intime libidini moralistiche e regolamentiste sul costume della prostituzione in Italia. La prossima sagra può prevedersi collocata intorno a metà luglio, in contemporanea con le smanie di insofferenza acuta per l’affollamento insopportabile delle strade notturne, legato all’aumentata offerta e alle voglie moltiplicate dal turismo e dalla stagione calda: metà luglio sì, salvo che qualche accidentale, succulenta evenienza non metta il pepe prima del tempo su talk show e rotative. Questa volta, in verità, una pepata vicenda c’era stata, eccome, a scatenare il bieco repertorio endemico ed era anche particolarmente piccante o particolarmente deprimente e ispirata a barbarie, a seconda di come la si volesse leggere: si trattava ovviamente del caso della prostituta sieropositiva di Ravenna, mostro da prima pagina per aver consentito rapporti non protetti ai suoi clienti – poveri minus habens intellettuali che, evidentemente, nulla ancor oggi sanno in materia di normali pratiche di prevenzione – dopo un’operazione di polizia che avrebbe potuto rivendicare a pieno titolo un inserimento nel libro dei primati per vilipendio a tutte le prerogative della parità, del buongusto, della decenza umana, nonché per aver massacrato la legge sul diritto alla privacy e all’integrità fisica delle persone e le indicazioni in materia dell’ONU. Come sempre il Barnum del moralismo accattone, patrocinato dall’ignoranza, si muove ballando, cantando e portando le sue capriole su alcuni capitoli fondamentali del luogo comune popolare: la salute, che trarrebbe finalmente garanzie da un regime di controlli sanitari coercitivi per le prostitute; l’ordine pubblico, che, va da sé, risulterebbe ampiamente tutelato e risanato dalla riapertura delle famose “case”, l’immigrazione clandestina… e le immigrate, si sa, se ne dovrebbero tornar tutte a casa loro. Troppo ci sarebbe da dire sulla credenza secondo la quale la riapertura delle “case” tanto potrebbe fare per rimettere in sesto le povere strade italiane martoriate dallo sconcio scosciato di donne, trans e travestiti in commercio: da una parte resta la vecchia questione di rinnegare, chiudere sotto chiave, far sparire e comunque non vedere (ben sapendo che tutto c’è comunque e conniventi che ci sia) ciò che passa per essere socialmente non accettabile; dall’altra, una puerile presunzione, neanche in buona fede: quella, cioè, che “il passeggio” di strada potrebbe dissolversi e scomparire nel nulla, oppure che “finalmente” ci sarebbero strumenti di repressione efficaci, tali da garantire una rapida ripulitura delle città, immigrazione clandestina (e non clandestina) al primo posto. Molto di più ci sarebbe da dire sul fatto che, malgrado trovar da scopare oggi per gli uomini non sia poi una vicenda tanto complicata, la domanda di prostituzione sia sempre più in attivo anche per i giovani e comunque si dovrebbe molto ragionare in modo diverso, infine, sulle soluzioni a un innegabile e non immotivato disagio generale, soluzioni che non possono prescindere da un provvedimento di depenalizzazione della legge Merlin e da drastiche e vincolanti politiche internazionali comuni contro il traffico e lo sfruttamento di prostituti e prostitute. Ma concentriamoci su un punto: la salute, a partire dai luoghi comuni e dagli equivoci fondamentali che rimestano lo svogliato immaginario di chi chiacchierando a vuoto spaccia i soliti modelli esotici. Un esempio è la politica sanitaria olandese in tema di prostituzione, un Paese che sin dall’inizio del diffondersi dell’epidemia mondiale di AIDS, ha moltiplicato e reso capillare l’infrastruttura nazionale dei centri di controllo e test per malattie sessualmente trasmissibili e dei test per l’HIV. Esistono infatti in Olanda una gran quantità di consultori pubblici e drop-in center con servizi specifici anche per le sex-worker. Tuttavia, l’uso di questi servizi resta sempre assolutamente anonimo e volontario e, contrariamente alle leggende che frullano nelle teste frustrate dei sostenitori del pensiero “categorie a rischio”, strumentali a leggi restrittive e a provvedimenti da stato di polizia, in Olanda non esiste alcun obbligo al test per l’HIV per nessun gruppo di popolazione, tanto meno per le prostitute, anzi, sin dal 1986 l’obbligatorietà del test HIV è proibita per decreto ministeriale. Cosa capita invece nei Paesi in cui all’interno delle politiche di regolamentazione è previsto il tanto magnificato controllo sanitario per le prostitute? Dati statistici significativi ci vengono dall’Austria e dalla Grecia, gli unici stati in Europa che hanno mantenuto sino a oggi il sistema delle “case chiuse”. Dai rapporti pubblicati negli studi dei progetti TAMPEP ed EUROPAP viene fuori che ad Atene, per esempio, dove il dato sulle prostitute attive è di settemila, solamente quattrocento sono registrate e si sottopongono quindi al controllo sanitario coatto due volte la settimana. In Austria, poi, solamente il dieci per cento delle prostitute obbedisce al controllo sanitario registrato, per cui, in una situazione assolutamente fasulla, le politiche sanitarie stanno frettolosamente cambiando in modo da fornire la possibilità di controlli e test anonimi per le prostitute che lo desiderano, al di fuori di ogni obbligo da libretto sanitario. Sulla base di dati estremamente realistici e in vista di garantire una concreta salvaguardia alle persone, la rete europea di progetti EUROPAP e TAMPEP che rappresenta ed è composta da istituti nazionali per la sanità, centri di osservazione epidemiologica, amministrazioni pubbliche e organizzazioni non governative e le agenzie internazionali per la salute come l’Organizzazione Mondiale della Sanità, raccomandano con sempre maggior forza agli stati di abolire leggi e regolamenti che rendano possibile l’obbligatorietà del test per l’HIV. Inoltre, nel 1994 la Commissione per i Diritti Umani presso le Nazioni Unite adottò una convenzione internazionale in tal senso su “La protezione dei diritti umani nel contesto dell’HIV o dell’AIDS” e, infine, si raccomanda ai Paesi di rivedere anche le proprie leggi e pratiche in vista di assicurare e proteggere il diritto alla privacy e all’integrità fisica delle persone affette da HIV o da AIDS. Ancora una volta, quindi, di fronte agli onesti dati certi e tanto facilmente fruibili dell’organizzazione TAMPEP ed EUROPAP e a un reale impegno civile e umano esente da interessi economici e di potere, ci si stupisce per l’improntitudine e la falsità del fiume di discorsi ascoltati, per la strumentalizzazione del disagio delle persone e per la ricercata lontananza dall’informazione scientifica che caratterizza la maggior parte degli interventi politici e si spera che invece di tanti discorsi insensati si agisca anche in Italia come stanno già facendo associazioni meritevoli come la LILA, il Gruppo Abele, il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute e altri, e si portino teorie e ragioni all’interno dei forum di discussione internazionali in materia, come la prossima Conferenza Mondiale sull’AIDS, in luglio a Ginevra.
Maria Gigliola Toniollo, CGIL nazionale – Ufficio Nuovi Diritti