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Stati Uniti d’America
Uno scontro durissimo sulla libertà di terapia è in atto negli USA, dove la tradizione “liberale”, quando si tratta di marijuana, cede subito il passo alla “guerra santa alla droga”. La California, con la città di San Francisco in testa, è l’avamposto della lotta all’ottusità dei signori della guerra (alla droga), dopo la legge adottata nel 1996 attraverso una consultazione popolare sulla libertà di uso medico della cannabis. Tale legge, che ha avuto come conseguenza la creazione di decine di club che vendevano marijuana (particolarmente apprezzata da chi è affetto da HIV nella città a più alto tasso di AIDS), è regolarmente contestata su vari livelli, provocando anche iniziative di polizia contro gli stessi club, spinti in questo modo a chiudere l’attività. Attualmente i legali della municipalità di San Francisco stanno lavorando per cercare buchi nelle maglie delle leggi federali e statali in vigore per poter comunque continuare, possibilmente attraverso il servizio sanitario, a distribuire marijuana. Ma si pone a questo punto una domanda: dove acquistarla? Una possibilità potrebbe essere la coltivazione diretta da parte del servizio parchi della città stessa, oppure la stipula di una convenzione con chi può garantire la produzione in “circostanze sicure e pulite”. Ma cosa diranno a quel punto le amministrazioni antidroga, il cui placet è condizione vincolante per un’operazione del genere? Il sindaco di San Francisco, Willie Brown, è fiducioso: “Se l’80% della popolazione è favorevole, se i giudici della zona hanno la stessa opinione, la Giunta dei Supervisori lo stesso, il Dipartimento della Salute pure, e anch’io ne sono convinto, allora deve esserci una strada”. Vedremo. Nello stesso tempo, anche a Washington si sta lavorando per arrivare a una legge simile a quella californiana. Per poterla sottoporre a una consultazione elettorale nel distretto della capitale è necessario raccogliere 17.000 firme e rispettare qualche cavillo burocratico. I sostenitori dell’iniziativa 59 (è il numero dell’iniziativa referendaria), erano riusciti a raccogliere più di trentamila firme, ma la commissione di controllo formale sulla validità delle firme è riuscita a decimarle, in modo da escludere in un primo momento l’iniziativa dalla tornata referendaria. Dopo mesi di battaglie legali arriva però la buona notizia: la Corte Superiore ha infatti accolto il ricorso dei proponenti di “initiative Fiftynine”. A breve dunque la consultazione. Intanto, è stato pubblicato un rapporto dell’Istituto di Igiene mentale del Maryland, apparso su “Proceedings of the National Academy of Sciences”, secondo il quale due principi attivi contenuti nella cannabis, il THC e il cannabidiolo, quest’ultimo tra l’altro non psicotropo, possano contribuire a rallentare, se non a bloccare, certi processi tossici che sono alla base della morte delle cellule del cervello dopo un’ischemia. Gli stessi effetti positivi – scoperti casualmente, secondo il ricercatore Aidan Hampson – si riscontrano anche con un certo tipo di infiammazione, dopo un ictus, dopo un arresto cardiaco o respiratorio, dopo un’intossicazione da monossido di carbonio, nel caso di un’overdose da insulina o dopo un trauma cranico o danneggiamento del cervello.

(“CNN”, 30 maggio 1998)

Germania
Il 30 agosto si è svolta a Berlino una manifestazione a favore della coltivazione legale di canapa, alla quale hanno partecipato 30.000 persone. La “canapa-parade” si è svolta per la seconda volta, e ha come obiettivo di informare sui molteplici usi che si possono fare dei prodotti derivati dalla canapa. Oltre cento bancarelle esponevano abbigliamento, prodotti cosmetici, olio alimentare, cioccolata, caramelle e farina. Da bere. birra di canapa. Gli unici partiti presenti erano il PDS e i Verdi. In Germania il consumo di prodotti di canapa è illecito. L’unica sostanza ammessa, da febbraio di quest’anno, come medicinale è il marinolo, che contiene il dronabinolo, una forma di THC prodotto in maniera sintetica. Per una complessa procedura burocratica, per il momento, si deve però importarlo dagli Stati Uniti, e solo con un permesso speciale, dai costi evidentemente proibitivi. Non è ancora chiaro in che forma e in che misura l’assistenza sanitaria pubblica si addosserà le spese per questo medicinale. Secondo il ministero della Sanità, infatti, non dovrebbe essere coperto dalle casse mutualistiche.

Spagna
100 giudici e giuristi di fama hanno firmato un appello contro la politica della proibizione. Partendo dalla constatazione che, anche in Spagna, la “guerra alla droga” costa molto (più di trecento miliardi di lire solo l’anno scorso) senza dare risultati, un gruppo di lavoro ha elaborato in 14 mesi una proposta di modifica della legge “del Medicamento”, approvata nel 1990. Viene prevista una soluzione “all’olandese” per i derivati di canapa, da vendere in appositi “coffee-shops”. Per quanto riguarda le droghe “dure”, cocaina, eroina, allucinogeni e composti sintetici, la vendita dovrebbe avvenire attraverso le farmacie, su ricetta, solo in dosi singole, il tutto vietato ai minori. I tossicodipendenti riceverebbero la loro dose negli ospedali. “Quando l’amministrazione pubblica si è mostrata tollerante nei confronti della vendita di droghe, ne hanno beneficiato i tossicomani e la società nel suo complesso”, dice Josè Antonio Alonso, portavoce dei “Giuristi per la democrazia”, che però ammette anche che l’unica via seria per una legalizzazione delle droghe deve passare attraverso le Nazioni Unite.

(“El Pais”, dossier sulle droghe, 5 luglio 1998)

Svezia
Anche in questo Paese, nocciolo duro del proibizionismo, c’è chi si batte per affermare alternative all’attuale legislazione. Si tratta dell’”Associazione nazionale per i diritti dei consumatori di droghe”, che recentemente ha pubblicato e diffuso un rapporto per sostenere la necessità di cambiare politica anche nel Paese scandinavo. Le richieste vanno dalla prescrizione legale di droghe per i tossicodipendenti ai programmi di scambio di siringhe e alla legalizzazione della cannabis.

(Notiziario telematico dell’Associazione nazionale per i diritti dei consumatori di droghe)

Colombia
Secondo il capo del dipartimento antidroga della Colombia il programma di eradicazione delle coltivazioni di foglia di coca, fortemente voluto e sostenuto dagli Stati Uniti, si è dimostrato un fallimento. Negli ultimi quattro anni, infatti, l’estensione dei campi è quasi raddoppiata, nonostante gli erbicidi e le piantagioni scoperte. Ruben Olarte, che da poco presiede l’ufficio antinarcotici di Bogotà, è convinto di dover trovare un’alternativa ai programmi di eradicazione, cercando una collaborazione anche con i movimenti guerriglieri e offrendo pace in cambio della distruzione delle coltivazioni di coca.

(“Reuters”, 9 settembre 1998)