Mi scrive una ragazza molto giovane di una città del nord, fermata meno di un mese fa da alcuni agenti per ordinari controlli. Dopo una breve perquisizione con tanto di agente donna presente sul posto, viene rinvenuto un quantitativo modesto di marijuana. Subito dopo la perquisizione del mezzo e delle persone presenti, viene consegnato alla ragazza un verbale di contestazione per il reato di cui all’art. 75 dpr 309/90. La giovane mi chiede a quali conseguenze andrà incontro (tempi per la convocazione in Prefettura, durata delle sanzioni amministrative etc.). Le domande che ci rivolgono tanti, troppi, ragazzi come lei, sono spesso identiche e tutte in merito all’art. 75 così come riformato dalla L. 49/2006, conosciuta come legge Fini-Giovanardi.
A distanza di oltre un anno dall’entrata in vigore, se ne toccano con mano i guasti giuridici, oltre che umani.
Tra questi, non vi è solo il crescente aumento degli arresti tra l’anno 2006 e 2007 e perciò delle segnalazioni all’autorità giudiziaria, ma anche il moltiplicarsi dei procedimenti amministrativi per uso personale regolamentati dal farranginoso art. 75 , così come riscritto.
Il nuovo art. 75, che insieme all’art 73 l’attuale testo di legge erge a norme “cardine” della legge, con la reintroduzione della dose-limite e l’eliminazione di qualsiasi differenza tra sostanze stupefacenti, ha prepotentemente inserito una singolare e preoccupante commistione tra la materia amministrativa e quella penale.
Il soggetto colpito dal procedimento amministrativo è, suo malgrado, ignaro delle nefaste conseguenze che il procedimento medesimo porterà nella sua vita privata e professionale.
Basti pensare, che, al momento della contestazione della violazione per possesso di stupefacenti da parte degli agenti accertatori, se la persona si trova nell’immediata disponibilità un veicolo a motore vi è il ritiro immediato della patente. Se trattasi di un ciclomotore vi è il fermo amministrativo. Il tutto per una durata non inferiore a trenta giorni e la patente e ogni altro documento vengono trasmessi al prefetto del luogo.
Le novità legislative introdotte sono il divieto assoluto di utilizzare tali documenti nel periodo suddetto, e l’ancor più grave restrizione di non poter ottenere gli stessi in via preventiva: se cioè la persona non ha ancora la patente di guida, durante questi trenta giorni non potrà conseguirla. Una vera e propria interdizione preventiva, indice della volontà punitiva della legge.
Le sanzioni amministrative restano identiche, rispetto al vecchio testo dell’art. 75, mentre muta il periodo di durata che va da un mese ad un massimo di un anno senza alcun distinguo tra sostanze pesanti e leggere.
Le sanzioni principali rimangono in un certo senso invariate: il ritiro della patente di guida, del passaporto, del porto d’armi e nel caso di cittadino extracomunitario divieto di conseguire il permesso di soggiorno. Resta anche il formale invito del prefetto a seguire un programma terapeutico e socio riabilitativo comunque, un programma ad personam. Un invito che il prefetto rivolge all’interessato una volta convocato in opportuna sede.
L’iter complesso del procedimento amministrativo per violazione all’art. 75 obbliga il soggetto segnalato a recarsi nell’ufficio della prefettura territorialmente competente. Il vecchio articolo 75 prevedeva che gli uffici delle prefetture convocassero la persona entro 5 giorni dall’avvenuta segnalazione da parte delle forze dell’ordine per un colloquio di tipo formale. Oggi il nuovo articolo di giorni ne prevede 40 che inspiegabilmente allungano i termini in modo ingiustificato.
Poco chiaro appare anche il contenuto delle ordinanze con cui il prefetto convoca l’interessato visto che queste sono prive di qualsiasi riferimento al fatto e all’eventuale sanzione che il prefetto intende adottare, così come alla durata delle medesime. Un atto questo, che suscita dubbi in diversi giuristi che temono un vero e proprio deficit di diritto alla difesa.
All’interessato resta la facoltà di presentare al prefetto memorie e scritti in sua difesa.
Censurabile è pure la scelta del legislatore di prevedere l’impugnazione dell’ordinanza di convocazione (entro 10 giorni dalla notifica) visto che ben poteva stabilire – anche per rendere più snella la procedura – la possibilità di impugnare solamente il decreto con cui il giudice commina le sanzioni amministrative e non anche l’ordinanza.
Un’altra facoltà del prefetto è la formulazione del generico invito a non fare più uso di sostanze che di fatto chiude il procedimento amministrativo nei casi di particolare tenuità, così come già disponeva il vecchio articolo 75.
Nel nuovo testo, con l’inasprimento delle sanzioni, la norma ex art. 75 si rende ancora più colpevole di scarsa attenzione verso la persona e il suo percorso. Il legislatore avrebbe dovuto affidare tali delicati procedimenti che hanno molto a che fare con la libertà delle persone ad un organo giudiziario e non a quello prefettizio. Questo perché, benché si tratti di procedimenti amministrativi, questi manifestano grandi affinità con il procedimento penale.
Se è vero che il prefetto durante il colloquio valuta tutta una serie di circostanze per l’applicazione delle sanzioni è pur vero che il colloquio si svolge inaudita altera parte, senza cioè un reale contraddittorio. Infatti il legislatore ha preposto un soggetto quale è il prefetto, non idoneo a tale tipo di competenza e non qualificato come invece sarebbe un magistrato.
Il problema droghe costituisce un tema di grande importanza e se da un lato è inutile ripetere quali devastazioni e guasti l’uso di sostanze stupefacenti (di droghe pesanti in particolare) può provocare, dall’altro è d’obbligo da parte di chi governa operare delle scelte non semplicistiche che mettano al centro del problema non gli ideologismi, ma la persona e la sua dignità.