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Lo zar anti-droga degli Stati Uniti, il generale Barry McCaffrey, aveva dichiarato di voler fare un giro di visita “per apprendere i fatti”, ma è subito apparso chiaro, prima ancora della sua partenza, che egli avrebbe invece portato la sua personale “versione dei fatti” sulla politica delle droghe olandese. Durante la permanenza di poche ore nel Paese, il generale si è sforzato di impersonare la parte di colui che “ascolta”, ma è stato chiaramente un tour per portare “la sua verità” sui fatti olandesi. Le autorità e i giornalisti olandesi l’hanno subito colto in castagna e castigato per le sue false asserzioni sul consumo di droga e i tassi di criminalità nei Paesi Bassi. Queste calunnie non sono nuove. Qualche anno fa il predecessore di McCaffrey sostenne che tutti i giovani olandesi del Vondel Park erano “zombie strafatti”. Un altro zar aveva sentenziato: “non si può camminare nelle strade di Amsterdam senza inciampare nei drogati”. Si dice che la prima vittima di ogni guerra sia la verità, e la “guerra alla droga” non fa eccezioni. I colleghi olandesi mi chiedono stupefatti perché gli zar americani si comportino così stranamente. Cercherò di rispondere. Le autorità statunitensi si sentono minacciate dalla politica olandese sulle droghe, che colpisce alla radice l’ideologia morale della politica statunitense. È un’ideologia che ha radici profonde nella cultura e nella politica americane. L’”isteria” sulle sostanze intossicanti ha una lunga storia alle spalle, fin dai tempi della crociata per l’Astinenza del XIX secolo. Per oltre un secolo gli americani hanno creduto che l’alcool, la bevanda diabolica di Satana, fosse la causa diretta della povertà, delle malattie, del crimine, della follia, in una parola che fosse la morte della civiltà. La crociata fondamentalista raggiunse il culmine con la proibizione dell’alcool nel 1919. Gli stessi funzionari incaricati ai tempi del proibizionismo dell’alcool passarono poi a dirigere la politica sulla droga, e optarono per la criminalizzazione, senza alcun dibattito. Da allora in poi, a furia di creare allarme, si è giunti a criminalizzare via via sempre più droghe e a gettare in carcere un numero crescente di consumatori, condannati a pene sempre più alte. Fin dai tempi della crociata contro l’alcool, l’allarmismo è stato dettato non da preoccupazioni per la salute pubblica, ma dalla politica della “paura” (paura del cambiamento, degli “stranieri”, delle classi lavoratrici, della gente con un diverso colore della pelle, degli studenti contestatori, della “perdita di controllo”). Per lungo tempo le droghe sono state il capro espiatorio, tanto che oggi i politici statunitensi non possono ammettere un sistema “tollerante” come quello olandese. La competizione elettorale avviene sulla base della retorica del “pugno duro” sulla droga. L’ala destra repubblicana, che controlla il Congresso, definisce il presidente Clinton “morbido” sulla droga, anche se non ci sono mai stati tanti consumatori detenuti in carcere come ora. Clinton ha nominato McCaffrey “zar” anti-droga non certo per la sua esperienza in materia, ma perché è un militare, e perciò simboleggia il “pugno di ferro”. Così la politica sulle droghe si è fatta sempre più “dura”. Il budget dello zar è cresciuto, passando da un miliardo di dollari nel 1980 agli attuali 17 miliardi. I detenuti per reati di droga sono aumentati dall’80 dell’800%, contribuendo al record degli Stati Uniti per il più alto tasso di carcerazione fra i Paesi del mondo industrializzato (550 detenuti ogni centomila abitanti, contro i 79 dell’Olanda). Dietro il vessillo della “guerra alla droga” un totalitarismo strisciante spinge a calpestare sempre di più i diritti umani e le libertà civili: decine di milioni di cittadini in regola sono sottoposti a test delle urine di controllo sui luoghi di lavoro; centinaia di migliaia si vedono perquisire le case , oppure devono subire perquisizioni personali negli aeroporti e sulle autostrade, se rientrano nei cosiddetti “profili di spacciatori”, di stampo razzista; lo stato può sequestrare i beni sulla base del semplice sospetto. I bambini americani in età scolare sono bombardati da una propaganda antidroga quale non avevano mai conosciuto le generazioni precedenti. Il risultato di tutto ciò spiega i colpi che le autorità statunitensi menano alla cieca. Le stesse ricerche americane dimostrano che il consumo di droghe illecite fra i giovani americani è aumentato costantemente nel corso degli ultimi sei anni, eccetto uno. La Drug Enforcement Administration (l’agenzia di controllo repressivo sulle droghe) ammette che le droghe pesanti sono oggi più che mai facilmente accessibili, e più che mai pure e a basso prezzo. Rimangono assai diffusi fra gli strati poveri i consumi di droghe pesanti e la tossicodipendenza. Alcuni giudici si sono perfino rifiutati di applicare la legislazione repressiva sulle droghe. I sondaggi di opinione mostrano che la maggioranza degli americani non crede più che la “guerra alla droga” possa esser vinta. Sempre più numerose si alzano le voci di critica alla politica punitiva e si ricercano strade alternative. In America il movimento di riforma sulla droga sta crescendo e si sta articolando. E quando questi fastidiosi eretici sostengono che esistono alternative all’approccio punitivo, uno degli esempi chiave che portano a sostegno è la politica olandese sulle droghe. I “guerrieri” anti-droga americani vorrebbero che l’esempio olandese non esistesse , ma poiché non possono far scomparire le nazioni, nemmeno le più piccole, allora sono costretti a costruire la loro versione dei fatti. La politica olandese sulla droga è una minaccia per i guerrieri della droga proprio perché non ha portato al “disastro totale” di cui parla MacCaffrey. Ovviamente, la società olandese ha i suoi problemi di droga, non più però (anzi, spesso meno) della maggior parte delle moderne democrazie. A dire il vero ci sono più persone che hanno assunto la cannabis almeno una volta negli Stati Uniti (dove milioni di cittadini sono andati in prigione per questo), che nei Paesi Bassi (dove questa sostanza può essere acquistata legalmente). Il sistema di controllo antidroga degli Stati Uniti teme la politica olandese così come la Chiesa cattolica temeva Galileo (essi devono credere che il modello olandese sia un fallimento, altrimenti l’intera cosmologia da loro costruita va in frantumi). L’ideologia antidroga statunitense reputa che esista solo l’abuso di droghe, non l’uso. Ma i modelli di consumo di droga in Olanda dimostrano come per la stragrande maggioranza degli assuntori le droghe siano solo uno dei tipi di sostanze che danno piacere, che gli olandesi hanno importato e integrato nella loro cultura nel corso dei secoli. Le autorità americane accomunano tutte le droghe illecite, come se tutte fossero egualmente pericolose e provocassero dipendenza. Gli olandesi invece distinguono pragmaticamente fra droga e droga, sulla base dei rischi relativi. Quando le autorità americane sono messe di fronte all’evidenza scientifica sulla canapa (per cui si dimostra che questa sostanza è una delle meno rischiose), allora si rifugiano dietro la tesi della “droga di passaggio” alle sostanze pesanti. Ma anche su questo punto le ricerche olandesi portano a conclusioni eretiche: nonostante il regime di tolleranza e la facile reperibilità della cannabis, la maggioranza degli olandesi non assume questa sostanza neppure una volta; fra chi l’ha provata, i più non consumano neppure la cannabis molto spesso, e ancora più raramente assumono droghe più pesanti. Per farla breve, i “fatti” olandesi sono un incubo per lo zar antidroga. Se questi capi si sentissero più sicuri della giustezza e dell’efficacia della loro politica antidroga, sentirebbero meno il bisogno di attaccare la politica olandese. Le autorità olandesi non sentono la necessità di fare del proselitismo, e non sollecitano gli altri Paesi ad adottare il loro sistema; gli Stati Uniti non sono obbligati ovviamente a far proprio l’approccio olandese, sotto nessun aspetto. Con la stessa logica, gli Stati Uniti dovrebbero accettare che altre società non condividano le stesse fobie e non apprezzino tali tendenze imperialiste sulla droga (specie quando tutto ciò che gli americani hanno da offrire è un modello fallimentare, costoso e repressivo). Viviamo in un mondo sempre più multiculturale, quindi con una pluralità di stili di vita e di convinzioni morali. Di conseguenza, anche la politica della droga non può essere “a misura unica”. Nonostante l’integrazione europea e la globalizzazione dei mercati, non si cancellano le differenze di linguaggio, di culture, di comportamenti, di politiche. Perciò non ha senso un approccio di controllo delle droghe ricalcato con lo stampino, identico per tutti i Paesi, sia esso repressivo o di qualsiasi altro genere. Gli olandesi hanno coraggiosamente ampliato la gamma dei modelli possibili di politica sulle droghe: il che è utile per chi vuole ragionare e imparare qualcosa, ma terrorizza chi non ne ha alcuna intenzione.

* Docente di Sociologia, Università di California, Santa Cruz e Visiting Professor del Centro ricerca sulle droghe, Università di Amsterdam