Tempo di lettura: 2 minuti

Seguendo oggi stampa e tv si ha l’impressione di vivere in balìa del crimine e della disperazione. In realtà, su un fondo di motivata preoccupazione per certe degenerazioni del tessuto sociale, l’attuale allarmismo è in parte prodotto di pura speculazione politica (alimentata dalla destra e dalla Lega, ma alla quale è ora supinamente allineata certa sinistra), in parte frutto della subalternità dell’opinione pubblica ai pregiudizi e alla logica dei capri espiatori. Ma non occorre essere intolleranti per affrontare con efficacia i problemi della sicurezza.
Non è possibile alcuna stabile sicurezza al di fuori di un adeguato mix di politiche sociali e di interventi specifici finalizzati alla promozione di un accettabile ordine civile. Senza le prime non si dà, anzi, alcuna possibilità di ordine, nemmeno di un ordine eventualmente fondato sulla repressione. La carenza di qualità sociale produce disordine e violenza, a ogni livello e di ogni tipo. Ai signori sindaci o ai presidenti delle regioni che tanto invocano più galera e polizia andrebbero rivolte un bel po’ di domande. Questi esagitati in moltissimi casi sono i primi responsabili del degrado sociale che alimenta le situazioni per cui si stracciano le vesti. Chiedete a costoro, ad esempio, quanti centri di accoglienza hanno creato o quanti percorsi di integrazione hanno aperto, quante équipe di strada hanno varato per agire nelle situazioni di disagio estreme. In nove casi su dieci non hanno fatto alcunché. Questo è sicuramente vero per gli amministratori di destra e della Lega, veri e propri coltivatori del disordine sociale. Ma vale anche per troppi di sinistra, che disertano la frontiera dell’intervento sociale più innovativo e radicale proprio perché temono gli strali dell’opinione pubblica cosiddetta moderata. In realtà, alla lunga, è proprio una rete di servizi e di interventi come questi che consente di recuperare terreno all’emarginazione, al degrado e al crimine. La destra può anche fregarsene, perché il disordine lavora per lei. La sinistra, e chiunque abbia a cuore la convivenza e la giustizia, invece no.
Ciò non ha niente a che fare con l’ignavia di fronte al crimine, col cosiddetto “buonismo”. Non ci sono “buoni” o “buonisti” nella sinistra attuale: ci sono degli incapaci, a volte politicamente vili, o, al contrario, ma troppo pochi, amministratori e militanti del volontariato, consapevoli che occorre agire radicalmente. Nessuno degli interventi sociali più innovativi e più “estremi” ha la minima possibilità di riuscita se non viene perseguito con determinazione e con risorse adeguate. La stessa sperimentazione di forme di superamento del proibizionismo in materia di droghe, e in particolare di eroina, necessita di tale convinzione. Così come la questione della legalizzazione delle “droghe leggere”. Tali provvedimenti, e in generale, l’approccio antiproibizionista, hanno un contenuto di lotta al crimine e al disordine, oltre che al disagio e alla sofferenza, che va ben esplicitato , specie in tempi di paranoie collettive.
Lo spazio della repressione, in quest’ottica, è esattamente lo spazio necessario, nulla più (ma anche niente di meno). Questo spazio si è oggi dilatato e l’incancrenirsi di talune situazioni sociali, senza adeguato intervento, ha prodotto degenerazioni. E’ su questo terreno che deve svilupparsi, dunque, un diverso approccio alla repressione, un approccio selettivo, capace di distinguere i propri bersagli e di non generalizzare, e quindi di legittimarsi come funzione specifica e irrinunciabile di una società democratica e più giusta. Una società proprio per questo davvero sicura.