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Entro il 5 novembre, il Consiglio comunale di Torino voterà la mozione sulle droghe presentata da venti consiglieri di maggioranza, che include la sperimentazione di una stanza del consumo. È un laboratorio interessante, Torino, perché sta sperimentando una discussione attorno a un servizio di riduzione del danno in maniera diversa da quanto fino ad oggi avvenuto: diversa da quel lontano 1995 – quando nacquero i programmi scambia-siringhe – e diversa anche da quel 2002, quando per la prima volta una commissione fu chiamata a esprimersi sulle stanze, per altro con esito negativo.
La differenza sta, oggi, nella dimensione pubblica che ha acquisito il dibattito, uscito tanto dal ristretto ambito dei “tecnici” quanto da quello chiuso nelle stanze del potere locale. Insomma: prove tecniche di dibattito pubblico, di informazione e di costruzione del consenso (o, dall’altra parte, del dissenso). Questa uscita allo scoperto mostra tutte le difficoltà di una città ancora poco abituata a costruire dispositivi di dibattito pubblico attorno a temi complessi, ma anche le difficoltà, in questo, di chi su questo lavora ed ha un sapere “tecnico” da socializzare, spiegare, rendere utile alla popolazione generale che vuole capire, per potersi orientare evitando le trappole degli slogan, delle ideologie e delle “sparate” di una politica demagogica.
La questione è oggi più pubblica per due ragioni. La prima, perché l’hanno resa tale gli operatori del settore, schierandosi e spiegando le buone ragioni delle stanze, e in particolare il Coordinamento dei servizi a bassa soglia, che sulle stanze lavorano da anni, “dall’interno” del loro sistema giunto ormai a maturare la domanda esplicita di questo servizio. Il Coordinamento nel 2002 aveva messo un gazebo in piazza per spiegare cosa sono le stanze del consumo; oggi ha promosso, con Forum Droghe e Clat4, una giornata informativa con gli operatori delle stanze di Francoforte e Barcellona, e ancora in questi giorni sostiene la raccolta firme per una petizione comunale a favore delle stanze.
La seconda ragione sta nel contesto cittadino: qui, la scena aperta esiste, l’ultimo episodio critico è stato quello di Parco Stura, ribattezzato Tossic Park, qui sono numerosi i tossicodipendenti poveri, senza dimora e che vivono in strada, una popolazione in grande disagio per cui le stanze sono un servizio importante e utile, come ci insegnano le esperienze europee. Dunque, sembrano esserci tutti gli ingredienti per far uscire questo dibattito allo scoperto, e mettere tutti gli attori locali, e i cittadini, nella condizione di discuterne con cognizione di causa: c’è un bisogno dei consumatori cui rispondere, c’è un disagio di parte della città cui dare ascolto, c’è una maturità del sistema dei servizi a bassa soglia in grado di integrare nel modo migliore questo nuovo servizio, c’è – ancora – un gruppo di realtà e di cittadini che già si sono attivati dal basso per dare informazione e voce a quanti vogliano sperimentare, con la petizione popolare promossa da Malega9, Associazione radicale Adelaide Aglietta e Forum Droghe, ci sono alcune Circoscrizioni attente al problema e disposte a promuovere dibattito.
Una buona opportunità per nuovi dialoghi: ma è davvero ben sfruttata? Il dialogo esperti-politici ha funzionato solo in parte: secondo Terry Silvestrini, coordinatrice della IV commissione del Comune che molto si è battuta per la mozione, «l’apporto che gli esperti, soprattutto dei Sert, hanno portato ai consiglieri è stato importante, chiaro e ricco di informazioni, un contributo scientifico che ha dimostrato la ragionevolezza di questa proposta»; ma, al contempo, l’opposizione ha scatenato la sua battaglia su un terreno del tutto ideologico, senza misurarsi sui dati e sulla conoscenza acquisiti.
E i media? Oscillano ancora attorno alla battaglia degli slogan più che su un’informazione puntuale: il triangolo media-politica-expertise ha indubbiamente bisogno di crescere. Ma anche la maggioranza dimostra un interesse blando al merito delle cose: all’incontro con gli operatori di Francoforte e Barcellona, organizzato proprio per loro, per i politici, c’erano la citata Silvestrini, il consigliere Rosa nel Pugno Bonino e l’assessore Tricarico. Troppo pochi, anche se “buoni”: Roberto Tricarico, dopo l’incontro, ha sentito il bisogno di andare a Barcellona a toccare con mano, un buon esempio di come si dovrebbe fare. E anche i media locali non hanno ben approfittato dell’occasione di saperne qualcosa di più.
Intanto, altre voci si fanno sentire: se alcuni consiglieri della Margherita non appoggiano la mozione, la Caritas diocesana prende parola appellandosi alla necessità di una presa in carico globale delle persone, e tuttavia non solo non si oppone, ma si affida al giudizio di quegli operatori «con esperienza, conoscenza e cuore che possono dare un parere autorevole circa la questione tecnica sollevata dalla mozione dei venti consiglieri comunali». E mentre An percorre le circoscrizioni cittadine a caccia di consensi contro – a volte riuscendoci complice la propaganda disinformata dai toni forti – operatori e promotori della petizione popolare fanno lo stesso, ma a caccia di luoghi dove fare informazione corretta e rispondere a tutte le domande che chiunque voglia porre. Anche questo è un buon esempio di come si dovrebbe fare, ma limitato a pochi, troppo pochi volenterosi. Intanto, le previsioni sono caute ma ottimiste, almeno per Terry Silvestrini, secondo cui la mozione, nonostante i venti consiglieri firmatari non siano l’intera maggioranza, ha buone probabilità di passare. Un bel banco di prova per la politica locale: «Per innovare è necessario rompere degli schemi con un po’ di coraggio – dice Silvestrini – e non spaventarsi delle reazioni conservatrici e retrive che lavorano non con argomenti razionali ma sulla base di un sentire emotivo e ideologico. La politica deve essere capace di questo coraggio». Speriamo che abbia ragione.