Durante l’epidemia di colera asiatico che colpì Londra negli anni ’40 dell’Ottocento, un giovane medico, John Snow, effettuò alcune indagini per capire dove si fossero verificati o concentrati i casi di colera. Egli scoprì che la maggior parte dei decessi era avvenuta in una zona in cui l’approvvigionamento d’acqua era affidato a due società private, che erogavano l’acqua in loco attraverso alcuni pozzi o pompe. Il dottor Snow scoprì che l’acqua proveniente da queste pompe era sporca e contaminata da residui delle fognature attraverso cui le feci venivano portate fuori città. Egli elaborò una teoria rivoluzionaria, in grado di spiegare quei decessi e la loro diffusione.
La teoria del dottor Snow, ossia la «teoria dei germi», come veniva chiamata all’epoca, negava totalmente la teoria dominante – cioè la «teoria del miasma» – secondo cui molte malattie erano dovute all’aria avvelenata.
Il dottor Snow fu schernito, e circolarono molte battute su questi minuscoli, invisibili mostri che oggi chiamiamo batteri, ma alla fine la sua teoria prevalse ed egli fu incaricato di progettare degli impianti idrici e fognari che per quei tempi erano delle vere e proprie meraviglie. Nei decenni successivi furono copiati da tutto il mondo.
Droga e teoria del miasma
Utilizzo questo aneddoto introduttivo per chiarire alcuni punti che ritengo importanti da discutere, quando prendiamo in considerazione la ricerca sulle droghe.
Come tutti sapete, dall’inizio del XX secolo le nostre teorie sul consumo di droghe sono rimaste piuttosto stagnanti. Non posso farvi la storia delle teorie sul consumo, ma posso individuare alcuni degli elementi comuni a tutte queste teorie.
Le droghe sono viste come la causa di una serie di comportamenti, a loro volta considerati svantaggiosi o del tutto sbagliati. Se alcune persone ne picchiano altre dopo avere bevuto alcol, il consumo di alcol è ritenuto «la causa» della violenza. Se alcune persone vogliono usare le droghe tutti i giorni e si spingono fino a rubare per poterle acquistare, le droghe sono ritenute «la causa» di questi comportamenti.
Abbiamo una serie di concetti convenzionali, come dipendenza, craving, malattia, che usiamo in relazione al consumo di droghe, anche se tale consumo è raro e sporadico. L’uso di droghe è visto come un pericolo: se non ora, lo sarà in futuro, se il consumatore non è disposto all’astinenza.
Quando descriviamo il consumo o i consumatori di droghe, quasi sempre concentriamo la nostra attenzione sugli svantaggi percepiti o reali della droga o del suo uso. Spesso tali pericoli non sono nemmeno reali o osservati nella realtà, ma supposizioni su cosa potremmo aspettarci in futuro.
Ad esempio, nel recente dibattito che si è svolto in Inghilterra sui rischi della canapa, alcuni professori hanno sostenuto che nel prossimo futuro potremmo avere innumerevoli nuovi casi di schizofrenia a causa del presunto aumento del contenuto di Thc nella marijuana che oggi si consuma!
Riprendendo l’aneddoto di John Snow, possiamo dire di vivere in un’epoca in cui tutti crediamo in una «teoria del miasma» sulle droghe. Le droghe possiedono al loro interno delle proprietà che fanno diventare le persone cattive, pazze, malate o infelici. Queste proprietà sono intrinseche alle droghe. (Proprietà che, peraltro, non sono nemmeno messe in discussione!) E quasi tutta la nostra «scienza» nel campo delle droghe è costruita in modo da dimostrare questo. Tutti i nostri scienziati cercano le prove di una teoria di base che è diventata la pietra della conoscenza, un terreno comune in cui si possono dare solo piccole deviazioni. La nostra scienza sulle droghe non è vista come una serie di ipotesi che necessitano di essere messe alla prova. Le nostre teorie sono una teoria del miasma che è diventata una base teorica, quasi incisa nella pietra.
Nella costruzione occidentale
fondamentalmente protestante,
la brava persona decide per sé:
da qui il rifiuto della dipendenza
È difficile spezzare questo stato di cose e sostituirlo con un approccio più sano ed anche più scientifico. Perché è così difficile? Perché non sono tutti felicemente alla ricerca di nuovi punti di vista sulle droghe, e di nuove conoscenze relative alle politiche sulle droghe? Ecco due ragioni. La prima è il modo in cui vediamo noi stessi, in quanto individui.
Sin dalla fine del Settecento viviamo in una cultura che vede gli uomini come persone singole. Le persone sono esseri che hanno un nome, vivono insieme in famiglie, e lavorano sodo per guadagnarsi da vivere. Idealmente, sono sicure di cosa vogliono e non possono essere facilmente scoraggiate dal perseguire una vita produttiva e moralmente sana. Nella costruzione occidentale, fondamentalmente protestante, della brava persona, noi costruiamo le persone come individui che decidono per se stessi. Essi sono autonomi e dovrebbero rispondere di tutto ciò che fanno. Gli individui autonomi hanno tutto il potere di costruire la propria vita. La legge – in teoria – è fatta per aumentare le possibilità di queste persone, e limitare le condizioni che le rendono dipendenti dagli altri. Essere dipendenti è visto come l’esatto opposto di ciò che rende la vita degna di essere vissuta, così la nostra cultura crea una estrema sensibilità alla dipendenza o alle condizioni che favoriscono la dipendenza.
Naturalmente, nella realtà, le persone non sono mai indipendenti: esse dipendono sempre da molte altre persone, condizioni sociali o istituzioni, ma la nostra cultura nega questo ferocemente. Il cuore della nostra cultura ha costruito alcune aree in cui la dipendenza percepita è vista come il maggiore ostacolo a vivere una vita moralmente sana, e la dipendenza dalla droga, dal sesso, dal cibo o da internet sono queste costruzioni.
Il rifiuto di questo tipo di dipendenza fa parte della nostra costituzione culturale non scritta, ed io l’ho spesso definita come una specie di religione laica, che si cercherà di imporre in ogni modo.
La nostra prigione culturale
Ed ecco che arriviamo alla seconda ragione: abbiamo bisogno di dimostrare continuamente la nostra indipendenza, e abbiamo affidato ad alcune persone il compito di produrre prove in tal senso.
Abbiamo bisogno di queste persone continuamente, e così la nostra società crea istituzioni in grado di garantirne la produzione nella quantità necessaria. E queste persone lavoreranno sodo per fare ciò che si richiede loro di fare: dimostrare che siamo tutti, sempre indipendenti, fatta eccezione per una certa classe di persone che sono dipendenti.
Le persone dipendenti rappresentano un esempio per noi, esse devono esistere per renderci più capaci di essere indipendenti. La paura della dipendenza determina la nostra paura delle droghe, e questa paura determina tutta la nostra ricerca sulle droghe e tutte le istituzioni addette alle politiche sulle droghe. Le persone che vorrebbero dimostrare che tutti noi siamo dipendenti, in un modo o nell’altro, o che la maggior parte dei consumatori di droghe non sono mai «dipendenti», sono viste come persone che distruggono l’immagine di noi stessi. Sono una minaccia per i giovani, e in generale per tutti, e non si può mai sostenere la loro voce.
Così, la ricerca sulle droghe non è affatto una ricerca di conoscenza. È una ricerca continua per riconfermare l’immagine che abbiamo di noi stessi, e perciò non sarà mai giudicata sulla base del vero merito scientifico.
La ricerca sulle droghe è sempre giudicata in base alla sua capacità di rafforzare la nostra paura della dipendenza, e quindi di rafforzare i nostri mantra culturali, la tensione culturale e la ricostruzione di questa indipendenza immaginaria.
Per sfuggire a questa condizione, dobbiamo riconoscerla, e possiamo farlo solo padroneggiando le teorie sull’autopsia sociologica di noi stessi.
Non possiamo cimentarci con nuove teorie sull’uso di droghe e sulle politiche sulle droghe se prima non facciamo il lavoro teorico di capire dove ci troviamo in questo momento. Non potrà nascere una nuova teoria sul consumo di droghe, né potranno nascere nuove ricerche sui consumi, se resteremo nella prigione culturale che ci fa vedere noi stessi come persone autonome.
Quali possibilità avrà la ricerca, una volta che ci saremo liberati dalla teologia della dipendenza?