Il 26 giugno scorso eravamo in piazza, con il cartello Non incarcerate il nostro crescere, con Mdma, e poi con i parlamentari che hanno sottoscritto e promosso una legge di riforma su droghe e dipendenze. Non ci sono mai piaciuti gli anniversari rituali della war on drugs, e per questo la giornata mondiale Onu, il 26 giugno, non è mai stata per noi una scadenza. Quest’anno, però, l’abbiamo contro-celebrata noi, perché proprio non ce l’avremmo fatta a permettere che piazze e sale di rappresentanza si riempissero sfrontatamente della retorica punizionista. Non oggi, nel 2007, dopo anni di mobilitazione e impegno (nostri) e impegni e programmi (della politica) per una troppo attesa inversione di tendenza. Già, la politica. Il 26 ci ha dato un segnale, piccolo, quella calendarizzazione della legge Boato, per la quale, all’inizio dell’anno, Forum aveva indetto un digiuno a staffetta, poi interrotto dalla crisi di governo, sebbene avesse incassato l’impegno del Presidente della Camera. E poi l’impegno del ministro Ferrero a portare il suo ddl in Consiglio dei Ministri, in modo che anche il governo si assumesse la sua parte di responsabilità. La calura estiva è esplosa ma del ddl governativo non si vede traccia: a settembre, chissà. Chissà, appunto: perché quello che appare saltato del tutto, sulle droghe, è il dispositivo che – sebbene con tutte le criticità di questa epoca – pareva poter ancora garantire qualche connessione tra la mobilitazione sociale e il palazzo, un dialogo, un tenere aperta la porta della mediazione. Come si fa a dire che questo filo non è spezzato, in assenza di un seppur minimo riscontro? E in presenza di segnali sgangherati, come quelli usciti negli ultimi mesi dalla compagine governativa? La politica è attenta ad altre cose, più importanti del rispetto del proprio programma, che non sembra più essere quella cambiale firmata per riottenere il consenso sociale: perché, se ancora lo fosse, verrebbe trattata con più delicatezza. La politica, poi, è schiacciata su un clima sociale che a sua volta concorre a creare: è un circolo vizioso, non virtuoso. In questa porta girevole, anche quello che di buono c’è, viene fagocitato, triturato e digerito (fatto digerire) all’insegna della retorica dominante. È il clima sociale massmediato a far da traduttore di ciò che, pure, potrebbe a sua volta dire una parola, portare un’evidenza diverse. Così, per esempio, alcuni dati riportati dalla Relazione annuale al Parlamento – che ha certo ancora grandi limiti ma evidenzia dopo anni lo sforzo di un cambiamento – non hanno fatto che enfatizzare “l’emergenza” e invocare il giro di vite, invece che poter dire ciò che dicono: che, per dirne una, la gran parte di quelli che hanno assunto cocaina lo hanno fatto in modo sporadico (da una a cinque volte in un anno), limitato nel tempo, sperimentale. E poi non ne hanno fatto più uso (non almeno nell’ultimo mese). E allora? Non è una buona notizia, questa? E non è bene che ce lo dica una ricerca più accurata, che molti cittadini per questo non perdono la testa, il proprio stile di vita, il lavoro, la salute? Il clima sociale, la politica e i media riescono nel mirabile esercizio di negare l’evidenza. E noi non possiamo limitarci a invocare l’evidenza, se viene così maltrattata, se è così debole. Noi dobbiamo non solo conoscere e sapere, ma anche comunicare, e provocare, e praticare, e spiegare. Come sempre, si dirà, ma oggi dobbiamo farlo meglio di sempre. Perché la vera emergenza è il clima: una costruzione di cui ormai non si vedono più le fondamenta di sabbia. Una costruzione retta da tante bugie, ma solida, troppo solida.