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“…Beh, meglio che niente, però siete in ritardo di almeno dieci anni…”. Con questa frase, Pino, consumatore di eroina e utente dell’Unità Mobile che opera in Stazione Centrale a Milano ha accolto gli operatori di strada. Il suo commento fotografa in modo semplice, ma assolutamente azzeccato, lo stato dell’arte delle politiche di riduzione del danno nel capoluogo lombardo.

Il quadro potrebbe apparire “solamente” paradossale se ci si limitasse a constatare che nella metropoli con il più alto numero di persone infettate dal virus HIV, delle quali la maggioranza è costituita da consumatori di droghe per via endovenosa, non sono state adottate tempestivamente misure atte a contrastare l’estensione del fenomeno, né tantomeno interventi per limitare i danni.

LE CIFRE, OVVERO LE PERSONE

Eppure, i dati parlano da soli: dal 1982 al marzo 1998 sono stati registrati 12.614 casi di AIDS in Lombardia, di cui 3036 a Milano; di questi, 2462 si riferiscono a persone già decedute; fra loro, i tossicodipendenti sono il 64% in Lombardia e il 57% nel capoluogo lombardo (Fonte: COA, marzo ’98). Senza dimenticare i 2445 morti per overdose, sempre in Lombardia, dal 1987 al 1997 (Fonte: ministero dell’Interno). Queste cifre fredde e neutre, vale la pena ricordarlo, corrispondono a corpi, a persone. Proprio per questo non possiamo attenerci alla sola considerazione sul carattere paradossale della situazione, perché non si tratta purtroppo di un innocuo paradosso, bensì di una realtà triste, drammatica e dolorosa nella quale si è pagato e si continua pagare un prezzo salatissimo in termini di vite umane. I decessi per AIDS, per overdose, per morte violenta, unitamente alle ricadute sul piano culturale, sociale e sanitario complessivo, rappresentano una verifica implacabile per le politiche in materia di tossicodipendenza e AIDS perseguite fino a oggi in Italia, e a Milano in particolare. Ebbene, proviamo a identificare concretamente alcune delle scelte e delle azioni più macroscopicamente svantaggiose e/o dannose che hanno oggettivamente concorso a determinare tale fallimentare bilancio. Ecco, dunque, in sintesi, tre passaggi per capire ciò che è stato, ma soprattutto, ciò che non è stato fatto per affrontare la gravità della situazione.

LE TAPPE DELLE INADEMPIENZE

Primo: nel lontano 1990 il Consiglio comunale approva a maggioranza un ordine del giorno che impegna l’amministrazione a installare 32 macchinette scambia-siringhe; novembre 1998, le macchinette installate su tutto il territorio cittadino sono 4.

Secondo: una delibera regionale che mette a punto le linee guida nazionali sull’uso dei farmaci sostitutivi stabilisce che il metadone è uno strumento per fronteggiare anche il rischio di decessi per overdose (e fin qui va bene) e che il farmaco salvavita Narcan non può essere né distribuito né somministrato senza prescrizione medica, se non da personale medico qualificato. Lo scorso anno, in Consiglio comunale viene approvato il piano di intervento sulle tossicodipendenze. Per mezzo di un emendamento preparato dalla LILA Milano e presentato dal consigliere di Rifondazione comunista Umberto Gay, viene introdotta la voce “dotazione del farmaco “salvavita” sulle unità mobili”. Tuttavia, la situazione non cambia e gli operatori di strada continuano a lavorare senza questo strumento fondamentale.

Terzo: i progetti di Unità Mobile presentati dalle ex Unità Sanitarie Locali per la prevenzione HIV vengono approvati dal ministero (fondo nazionale D.P.R. 309/90), ma passano mediamente sei anni prima che le neo Aziende Sanitarie Locali si accordino fra loro e con la Regione e il Comune consentendo l’avvio del “lavoro di strada”. Dal luglio 1997 quattro Unità Mobili, per un totale di una dozzina di operatori di strada degli enti del privato sociale (LILA, A77, Cooperativa lotta contro l’emarginazione, Comunità del Giambellino) convenzionati con le ex USSL, garantiscono una presenza nelle zone più interessate dal fenomeno tossicodipendenza. L’attività, però, è a tempo determinato, dato che si tratta di un progetto sperimentale con chiusura prevista per la fine del ’98. Nello giugno scorso, la Regione Lombardia, utilizzando i fondi nazionali a essa pervenuti, approva una delibera che stanzia un finanziamento di un miliardo e duecento milioni per il proseguimento del progetto Unità Mobili. Piccolo particolare: l’oggetto della delibera non fa riferimento a interventi di prevenzione HIV e riduzione del danno, bensì alla “prevenzione delle tossicodipendenze e alla riduzione dei rischi”. Se i termini hanno ancora un senso, appare chiara la volontà di caratterizzare il lavoro delle Unità Mobili privilegiando un intervento più di tipo educativo, quasi di prevenzione primaria, in cui gli obiettivi di prevenzione HIV e riduzione del danno si confondono con altre finalità. Per le persone tossicodipendenti che non possono/vogliono afferire ai SERT non si indicano chiaramente unità di offerta adeguate sulla strada.

Infine, e siamo a questi giorni, la neonata Azienda Sanitaria Locale di Milano, tanto voluta dalla riforma sanitaria regionale e incaricata dalla Regione di realizzare il progetto, non garantisce la continuità del lavoro iniziato dalle realtà del privato sociale convenzionato precedentemente, sia in termini di riprogettazione (delegando questa importante fase del lavoro soltanto agli operatori SERT senza coinvolgere il privato sociale) che prospettando di procedere nell’individuazione degli enti esecutori istruendo una gara d’appalto.

GLI IMMIGRATI TOSSICODIPENDENTI

Questi dunque alcuni passaggi emblematici della storia milanese. Ciò detto, non appare difficile prefigurare uno scenario prossimo venturo tutt’altro che adatto ad affrontare i bisogni e i problemi rilevati sul territorio in questi anni di lavoro. In primo luogo, andrebbero affrontati seriamente quelli che vanno a definire una vera e propria “questione immigrati”. Dai dati raccolti dalle quattro Unità Mobili, e in particolare dalle due che operano in Stazione Centrale, emerge in maniera significativa (circa il 20% del totale dei contatti) la presenza di persone, che fanno uso di sostanze (eroina, Darkene e altri psicofarmaci) per via endovenosa, provenienti dai Paesi del Sud del mondo – con prevalenza della zona del Maghreb – e che sono perlopiù sprovvisti di permesso di soggiorno. Il lavoro di prevenzione con queste persone presenta, oltre alle ordinarie difficoltà di ordine linguistico-culturale, anche situazioni assolutamente impossibili da affrontare stante l’attuale assetto dei servizi, determinato dalle linee guida regionali e dalle leggi nazionali in materia di immigrazione. Di fatto, a queste persone viene negato lo status di cittadini e con questo anche i più elementari diritti, primo fra tutti quello alla salute e all’assistenza medico-sanitaria. Per chi non è iscritto al sistema sanitario nazionale è preclusa ogni possibilità di essere preso in cura e in molti casi, a Milano, non viene garantito nemmeno un adeguato intervento di pronto soccorso, a causa dell’impronta rigida e di forte selezione delle politiche adottate dalle aziende ospedaliere. Prova ne sia che alle Unità Mobili che operano in Stazione Centrale e ai Bastioni di Porta Venezia, affluiscono uomini e donne stranieri con problematiche medico-sanitarie difficilmente affrontabili dagli operatori di strada, sia in maniera diretta che attraverso l’invio al sistema formale dei servizi. Questa situazione grottesca non ricade esclusivamente sulle persone straniere irregolari, ma penalizza anche tutti coloro (e non sono pochi, i dati della Caritas parlano di circa 2000 persone senza fissa dimora ed emarginati gravi) che non hanno tutti i requisiti dell’”utente/cliente tipo”. Per questo “esercito degli invisibili e dei senza-tutto”, nella metropoli milanese, ci sono pochissime porte aperte: quelle delle parrocchie e dei decanati sociali cattolici, dell’associazione NAGA e di realtà come l’Ambulatorio Medico Popolare della casa occupata di via dei Transiti. Oppure esiste una facile alternativa, un luogo “dall’accoglienza a bassissima soglia”: è sito in piazza Filangeri 2, in particolare nel II° raggio (C.O.C.), dove tra gli attuali 280 detenuti presenti circa 2/3 sono stranieri tossicodipendenti. E a proposito di carcere, non si pensi che data la situazione ancora più a rischio, date le condizioni di cronico sovraffollamento e promiscuità, siano state approntate misure di riduzione del danno. Macché, da questo punto di vista, San Vittore assomiglia moltissimo agli altri penitenziari italiani: niente siringhe, niente profilattici, niente kit igienico-sanitario, poco metadone (rigidamente a scalare) e, questo sì, un grande scorrere di gocce calmanti e antidepressive (psicofarmaci quali Minias, Enne, Valium).

Un altro paradosso assolutamente deformante gli interventi delle Unità Mobili, riguarda la dotazione di materiale di profilassi. Non è certo sulle pagine di Fuoriluogo che occorre sottolineare l’importanza della distribuzione e della restituzione di siringhe nell’attività degli operatori di strada. Invece, questa che dovrebbe essere una componente ordinaria per ogni esperienza di questo tipo, è diventata una faticosa lotta. È possibile che le Unità di Strada si trovino in situazioni in cui non possono disporre di quantitativi sufficienti di siringhe da distribuire e che in diversi casi ne siano addirittura completamente sprovviste? E che dire, quando anche di fronte a dati preoccupanti, che testimoniano una diminuzione significativa della riconsegna delle siringhe usate proporzionale alla riduzione di quelle nuove erogate, le ASL rispondono che i fondi di spesa previsti non possono essere adeguati alle necessità del lavoro di prevenzione?

OCCASIONE DI DIGNITÀ PUBBLICA

Insomma, a poco più di un mese dalla fine della prima esperienza di lavoro di strada, all’ombra della Madonnina non mancano certo gli elementi per sostenere che non basta avviare programmi di riduzione del danno se poi nell’attuazione e nelle risorse si fa di tutto per dequalificarne la portata. I progetti tanto per fare e per utilizzare i fondi nazionali ricevuti, che altrimenti verrebbero persi, rischiano di pregiudicare la credibilità e l’efficacia di questo importante strumento di intervento. Se poi, come è accaduto, le équipes operative vengono lasciate sole a gestirsi tutto, anche quella parte di lavoro che dovrebbe spettare alle istituzioni, quale la sensibilizzazione delle forze dell’ordine e della cittadinanza, appare difficile non pensare che ritardi, inadempienze, difficoltà di ogni genere siano casuali e che non celino la mancanza di volontà politica e di responsabilità – in chiave di tutela della salute pubblica – da parte degli amministratori locali fin qui succedutisi.

Bilancio tutto in nero dunque? Per fortuna no. Ci sono da salvare parecchie cose che, guarda caso, riguardano chi opera “in basso”. La buona collaborazione tra gli operatori dei SERT e quelli del privato sociale; l’aumento di consapevolezza e di conoscenza della filosofia della riduzione del danno da parte di chi è stato a vario titolo coinvolto nel progetto; la significativa penetrazione dell’intervento tra la popolazione tossicodipendente e la relativa collaborazione che si è avviata con molti consumatori; l’acquisizione di una metodologia del lavoro di strada che ha saputo andare incontro ai bisogni delle persone; la costruzione di un “parco operatori di strada” competente e capace di proporsi come nuova figura professionale (anche se ancora non riconosciuta degnamente). Infine, una certezza. Quella di aver saputo offrire, anche se limitatamente date le insufficienti ore trascorse in piazza, ascolto e accoglienza a chi per il semplice fatto di usare delle sostanze proibite viene privato del proprio diritto a farsi sentire e a essere riconosciuto come cittadino. In altre parole, è stata costruita un’opportunità di visibilità e dignità pubblica per chi è portatore di un disagio, per chi fa una scelta di vita particolare, per chi è travolto dai processi di esclusione sociale.

* Responsabile area Riduzione del Danno, LILA Milano


Dati più significativi attività delle 4 Unità Mobili di Milano
Periodo di rilevazione: Luglio 1997 – Luglio 1998

Contatti con Tox

37.491

Maschi

25.603

Femmine

11.888

Stranieri

5.296

Siringhe date

78.245

Siringhe restituite

28.310

Profilattici dati

34.436

Colloqui

2.112

Counselling

583

Invii ai servizi

315

Interventi overdose

38

Medicazioni

865

Fonte: LILA Milano