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Ogni nuovo libro che parla di droga in una prospettiva storica è a mio avviso il benvenuto, perché solo attraverso il passato si può comprendere il presente e, forse, anticipare qualcosa del futuro. In Italia non mancano ottimi lavori di questo tipo (tra cui Il gioco proibito di B. Inglis, Piccola storia delle droghe di A. Escohotado, Il mito della droga di T.S. Szasz, La legislazione della moralità di T. Duster), ma il libro di Angelo Averni, Proibizionismo e antiproibizionismo (Castelvecchi Editore, pp.336, £. 18.000) assume un punto di vista originale. La storia che interessa all’autore è quella dei diversi probizionismi, e il suo obiettivo è superare il “dialogo tra sordi” che oppone proibizionisti e antiproibizionisti. Il libro si articola fondamentalmente in 4 parti: la prima dedicata ad alcuni esempi storici di proibizionismi (tabacco, alcool, altre droghe); la seconda alla presenza dell’oppio nelle culture greca, romana e italiana; la terza alle conseguenze economiche del proibizionismo; la quarta agli aspetti etico-giuridici della questione-droga, a partire dal dibattito parlamentare sull’ultima revisione della legge italiana. Il libro ha diversi meriti. I capitoli sui proibizionismi sono molto ricchi e sostanziosi, e costituiscono un’utile lettura anche per chi conosce la materia. Anche se la letteratura originale è presente solo attraverso citazioni tratte da libri italiani, l’autore ha certamente fatto un grosso lavoro di raccolta di dati e informazioni. Il capitolo sulla storia antica dell’oppio sfata il mito che le droghe siano una “diavoleria” moderna, e quello sull’economia del proibizionismo è una buona introduzione a questo aspetto cruciale del problema. Molto stimolante, infine, il capitolo “La questione giuridica”, che riporta gli argomenti dei sostenitori della “l.162/’90” (la famigerata Jervolino-Vassalli) e le critiche dei loro avversari, a partire dal dibattito parlamentare: questi aspetti sono stati finora trattati solo in pubblicazioni riservate agli addetti ai lavori , ed è un gran merito presentarli a un più vasto pubblico. Come ogni libro, anche questo ha dei limiti. Il più grave sta, a mio avviso, nel fatto che il suo principale obiettivo – la critica del proibizionismo – resta in qualche modo poco definito e in secondo piano. Il libro può dunque apparire soprattutto un’erudita raccolta di fatti storici, con qualche significativa lacuna (cfr. il “buco” su tutta la storia più antica dell’allarme sociale sull’alcool, necessaria a capire la genesi del Proibizionismo USA degli anni ’20; e quello sulla politica inglese delle droghe, fino al famoso British System che per decenni ha costituito una continua anche se informale sperimentazione di ogni tipo di “terapie di mantenimento”, comprese quelle con cocaina e eroina) e un’eccessiva, quasi esclusiva attenzione alla storia americana. A tratti il lavoro appare scritto un po’ in fretta: soprattutto il capitolo delle “conclusioni” avrebbe meritato più spazio per renderle veramente convincenti anche per chi non sia già convinto. In conclusione, raccomando questo libro soprattutto a coloro che sono interessati al dibattito etico-giuridico sul proibizionismo e alla questione del diritto alla salute (ottima anche la postfazione di G. Arnao), e a coloro che hanno già letto qualcosa sulla storia delle droghe e possono così arricchire le loro conoscenze con nuove informazioni e spunti di riflessione. Non mi sento invece di raccomandarlo come prima lettura sull’argomento, poiché esistono libri più focalizzati e completi (come quelli già citati). Ultimo plauso, ma non minore, all’editore che è riuscito a offrirci 336 pagine all’onestissimo prezzo di 18.000 lire!