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Quest’estate Alistair Campbell, che fu il consigliere e portavoce dell’ex primo ministro Tony Blair, ha pubblicato i suoi diari. Vi è un succinto riferimento a una discussione sulla cannabis, con Tony Blair contrario a modificarne in qualsiasi modo lo status legale, ed anche a discutere ulteriormente la questione. Un’altra sezione contiene svariati riferimenti alla crescente preoccupazione della classe politica britannica per l’accrescersi della disillusione e del cinismo con cui sono visti i politici. Di questo argomento si discute da anni: i giornali accusano i politici corrotti, e i politici puntano il dito contro il sensazionalismo dei media. In modo particolare, preoccupa il disimpegno dei giovani rispetto alla politica, con una bassa affluenza alle elezioni amministrative e un basso tasso di reclutamento dei giovani nei partiti.
Eppure nulla spiega il motivo del cinismo dei giovani più incisivamente del grande dibattito sulla cannabis che in questo paese va avanti da circa trent’anni. Ad ogni svolta si esibisce un falso stupore e si finge di parlare di un fenomeno completamente nuovo. L’erba che i politici in carriera della generazione attuale conoscevano e fumavano quando erano studenti, si è trasformata come per magia nella skunk di oggi, una sostanza killer che causerebbe la psicosi. Ciò serve a giustificare la richiesta di misure più forti senza tenere conto del fallimento dei tentativi già fatti, in un ritorno a una politica sulle droghe ideologica.
Non è stato sempre così: il governo del New Labour, con l’allora ministro degli interni David Blunkett, aveva affrontato la classificazione della cannabis come una questione sociale che imponeva una riforma in senso liberale. Avendo dalla sua parte una messe di evidenze scientifiche, ed il sostegno di svariate organizzazioni e organismi competenti, Blunkett propose che, nel sistema di classificazione britannico, la cannabis passasse dalla classe B alla classe C. Per le sostanze presenti in classe C erano previste sanzioni meno gravi; ad esempio, il possesso non avrebbe portato all’arresto. Le reazioni furono piuttosto forti e – com’era quasi prevedibile per un governo che, malgrado la maggioranza di cui disponeva, appariva straordinariamente timido nell’assumere l’iniziativa – il passo avanti in direzione della riforma fu seguito da due passi indietro. Nel 2004 la canapa fu inserita in classe C, ma la polizia mantenne il potere di arrestare a propria discrezione. Allo stesso tempo furono elevate le pene relative al traffico di droga.

Elementi conservatori guidati dal ministro ombra Tory, dal quotidiano Daily Mail e, all’estero, dall’Incb (International Narcotics Control Board) trasformarono questo non-evento politico in un terreno di campagna politica. Essi si aggrapparono a due argomenti – il nesso tra uso di canapa e una serie di malattie mentali suggerito in due studi scientifici pubblicati nel 2005, e il mito della super-skunk. Nel periodo precedente le elezioni, il governo ha chiesto all’organo più prestigioso nel campo delle droghe, l’Advisory Council on the Misuse of Drugs, di esaminare ancora una volta la questione. Com’era prevedibile, è risultato che non era sopravvenuta alcuna nuova evidenza tale da giustificare una riclassificazione di segno opposto.

Da allora non c’è stato un momento di tregua; si è assistito a un continuo proliferare di articoli aventi per oggetto la cannabis extra-forte, l’aumento delle ammissioni alle strutture trattamentali e il ruolo del crimine organizzato. Dopo una serie di battute d’arresto il governo ombra, un tempo alle prese con la riforma, è tornato ad una posizione più repressiva con David Cameron, che si dice abbia fatto egli stesso uso di droga ma ha rifiutato di parlarne. Durante l’estate, l’ex leader conservatore Ian Duncan Smith ha pubblicato un documento d’indirizzo politico, Breakthrough Britain: ending the costs of social breakdown (La Gran Bretagna della svolta: porre fine ai costi del fallimento sociale), in cui è delineata la posizione dei conservatori sulle droghe e su altre questioni sociali: la canapa dovrebbe essere nuovamente collocata in classe B. In queste discussioni si tiene scarsamente conto delle evidenze, le quali indicano che, in effetti, dalla declassificazione del 2004, l’uso di cannabis tra i giovani è diminuito.

Né il dibattito fa riferimento all’indagine più autorevole sui sequestri di cannabis, pubblicata dall’Emcdda (King et. al.), la quale suggerisce che poco è cambiato per quanto riguarda il contenuto di Thc. A quanto sembra, la super-skunk è in circolazione da molto tempo, ma la maggior parte delle persone fumano delle varianti molto più leggere.

La quantità crescente dei cosiddetti ibridi, coltivati in serra utilizzando metodi idroponici, è il risultato di vari trend: in primo luogo, la frammentazione del mercato dell’importazione della cannabis che ha abbassato i margini per gli importatori; in secondo luogo, la predominanza di clienti giovani più interessati ai ceppi “forti”; in terzo luogo, la riduzione della produzione di canapa in Marocco, dovuta in larga misura alle pressioni dell’Ue. L’aumento di ceppi più forti è un effetto ben noto a chi studia il proibizionismo sin dalle variazioni dei mercati dell’alcol in America. Nel 1919 birra e vino scomparvero lasciando ai bevitori una scelta limitata tra whisky, rum e moonshine. La preoccupazione odierna riguardo alla potenza della cannabis e, nell’estate del 2007, alla sua qualità, essendo stati segnalati alcuni casi di adulterazione, è un ulteriore argomento a favore della regolazione di questo mercato. La potenza e la qualità vanno garantite per proteggere il consumatore.

Non si ha l’impressione che il nuovo governo, guidato dal rigido presbiteriano Gordon Brown, assumerà un atteggiamento indulgente. Il piano strategico decennale sulle droghe scadrà l’anno prossimo, ed è stato pubblicato un nuovo documento di consultazione che sarà distribuito agli operatori del settore. La questione relativa alla riclassificazione è di grande rilievo, e potrebbe essere usata come pretesto per un inasprimento delle politiche. Il nuovo governo ha già dato mostra della stessa ipocrisia che disgusta così tanto l’opinione pubblica in generale, e l’idealismo dei giovani in particolare. Jacqui Smith, l’attuale ministra degli interni britannica, ha ammesso di avere usato cannabis quando era all’università, salvo poi dichiarare che aveva sbagliato, che le dispiaceva e, inoltre, che la cannabis di oggi sarebbe più pericolosa. In altre parole, i politici possono sperimentare e pentirsi, ma i più giovani devono vedersela con il potere dello stato, e subire la punizione.

C’è anche da chiedersi cosa esattamente il governo abbia da guadagnare da una posizione sempre più punitiva. Secondo l’Economist, essa rientrerebbe in una mossa tattica: il governo laburista starebbe estendendo il settore pubblico e affrontando questioni di eguaglianza e povertà, spostandosi però verso il centro su questioni sociali come le droghe. Se non altro, tanti consumatori che con ogni probabilità sono destinati ad essere trascinati in tribunale e in carcere per infrazioni relative alla canapa avranno il conforto di essere offerti in sacrificio, come cortina fumogena per un’agenda politica più radicale.