Il 15 ottobre scorso si è svolta l’annuale cerimonia della polizia penitenziaria. È stata l’occasione, per il nuovo Ministro e per il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, di scoprire un po’ le carte e di farci intendere cosa vogliano fare delle carceri e dell’intero sistema dell’esecuzione penale. In estrema sintesi: nulla.
Buon ultimo, anche il ministro Alfano non ha potuto che recitare la consueta litania sul sovraffollamento penitenziario: più di 57.000 detenuti per poco più di 43.000 posti regolamentari (un consiglio: non parli più, Signor Ministro, della capienza tollerabile; la tolleranza oltre la norma – il Suo governo ci ripete a ogni pie’ sospinto – è illegale: al di là dell’incoerenza, non è un bell’esempio per i detenuti che volete rieducare e prima o poi qualche Asl vi obbligherà a chiudere). Le cause sono individuate nell’aumento della criminalità degli stranieri e negli arresti di pochi giorni. Le proposte sono quelle note: edilizia, espulsioni degli stranieri, braccialetto elettronico per i meno pericolosi. Cioè, nulla.
Per dare un’adeguata sistemazione ai detenuti ci vorrebbero già oggi 15.000 posti in più. Se il ritmo di crescita della popolazione detenuta è quello che denuncia il Ministro, tra un anno se ne dovrebbero aggiungere almeno altri diecimila e via costruendo. Vi sembra una soluzione realistica? In questo Paese, in cui l’anno scorso è stato inaugurato l’Istituto di Gela, progettato nel 1959? Non parliamo poi delle espulsioni e del braccialetto elettronico, misure già previste e che hanno un grado di effettività pari a zero. Nulla.
Forse qualche domanda in più sulle cause del sovraffollamento può servire, a meno che non ci si accontenti della spiegazione del nuovo capo del Dap (se tutte queste persone vengono incarcerate «è perché la macchina della sicurezza si è mossa bene»). Il ministro, che ci ha provato, parla dell’aumento della criminalità degli stranieri (quale? rispetto a quando?) e dell’effetto porta girevole, secondo cui 24.000 dei 94.000 entrati in carcere nel 2007 ne sono usciti entro il terzo giorno. Il problema è che questi – pur discutibili – dati empirici nulla gli suggeriscono. Non che gli venga in mente che se c’è una sovra-rappresentazione degli immigrati in carcere qualche problema ci sarà pure con la legge che li costringe nella illegalità; non che gli venga in mente che se 24.000 persone entrano ed escono dal carcere in tre giorni, forse potevano pure non entrarci. Le leggi, la criminalizzazione dei migranti, dei tossicodipendenti, della marginalità sociale, deve evidentemente sembrare al ministro una catastrofe naturale, non la conseguenza di scelte politiche, come quelle da lui stesso sottoscritte per l’introduzione del reato e dell’aggravante di immigrazione clandestina, o per la criminalizzazione della prostituzione.
Il governo del carcere, prima che in carcere, si fa nelle scelte di politica sociale e di politica criminale. Se questo vuole essere il governo del ministro della Paura, icasticamente rappresentato dalla maschera di Antonio Albanese nella nuova serie di “Che tempo che fa”, il ministro Alfano metta da parte i buoni sentimenti, lasci perdere i rimedi scaramantici e si appresti a rispondere agli organismi internazionali per i diritti umani: non gli mancherà il lavoro.
Stefano Anastasia