Un recente emendamento, proposto dalla destra e recepito nel disegno di legge sul Fondo antidroga, potrebbe limitare l’uso del metadone. Vorrei esprimere il mio modesto parere, per quanto possa sembrare “di parte”, visto che sono in terapia metadonica. Ma, in questo caso, l’essere “di parte” consente forse giudizi non astratti, né ideologici.
Il metadone è uno strumento utile nelle terapie per ridurre l’uso dell’eroina? Sicuramente sì, se guardiamo a questa sostanza non solo attraverso le fredde statistiche, che ci dicono quanti ettolitri di metadone vengono somministrati quotidianamente, ma dal punto di vista di come e cosa cambia nel concreto vissuto della persona tossicodipendente.
Il metadone sicuramente contribuisce a limitare alcuni degli aspetti negativi della vita del tossicodipendente, offre la possibilità di allontanarsi sia fisicamente che psicologicamente dal “territorio” dell’eroina. Il che significa ridurre gli effetti negativi del “bucarsi”: la continua ricerca dei soldi, il rischio di finire in galera, l’impossibilità di rispettare le più elementari norme igieniche, la difficoltà di sostenere una vita regolare, tutto questo fa parte del quotidiano di decine di migliaia di persone ogni giorno. Ma il metadone permette anche di recuperare lucidità, di partecipare attivamente a “percorsi terapeutici” convenzionali (comunità residenziali, centri di accoglienza semi-residenziali), oppure non convenzionali, come la partecipazione a gruppi di autoaiuto o inserimenti lavorativi, dove il punto di partenza non sia il “non farsi” ma un obbiettivo da raggiungere durante il “percorso”.
Oltre agli aspetti macroscopici c’è ne sono anche altri che non si notano se non dopo un po’ di tempo: maggiore tranquillità, riduzione dell’ansia dovuta agli sbattimenti continui per trovare soldi, più tempo da dedicare a se stessi per pensare a come fare se si è intenzionati a smettere, permettendo di recuperare una minima dose di lucidità, di partecipare attivamente a “percorsi terapeutici alternativi” che non comprendano per forza di cose un inserimento in una qualunque comunità.
Evidentemente, non tornano i conti (magari in tasca) a qualcuno, se ci sono pressioni per limitare la somministrazione del metadone. Lo so che a qualcuno piacerebbe vederci tutti in comunità, ma qui ci sono scelte personali che vanno rispettate anche se possono non piacere.
Sono convinto che un esame oggettivo delle terapie a base di metadone farebbe risaltare gli innegabili vantaggi dell’uso di questa sostanza. Certo, esistono anche degli svantaggi, ma con una politica maggiormente attenta alle necessità dei singoli si potrebbero ridurre al minimo i disagi che spesso comporta l’assunzione del farmaco.
A mio avviso e per la mia esperienza, l’utilizzo del metadone dovrebbe seguire due direzioni principali: la prima, legata a programmi di breve scadenza, come pronto soccorso, per superare crisi di ordine economico, di stanchezza, di riflessione, pur non avendo ancora deciso di allontanarsi dall’eroina; la seconda, si snoda attraverso progetti dai tempi di realizzazione più lunghi, dove l’obiettivo primario è la remissione dell’uso della sostanza. Nel primo caso, c’è semplicemente da superare una crisi che abbraccia l’arco di qualche giorno o al massimo di qualche settimana. Nella seconda ipotesi, la presenza sostitutiva del farmaco permette dei percorsi principalmente mirati a una relazione di aiuto non limitata alla semplice somministrazione; è possibile, in questo caso, ricreare condizioni concrete per la ricerca di un lavoro, di una casa, di soluzioni alternative alla famiglia, se questa risulta essere un ostacolo allo “smettere di farsi”.
Un’altro dei problemi è che esiste, ad esempio, un coordinamento dei Ser.T., ma, almeno per quello che riguarda la situazione torinese, non coordina proprio un bel niente, lasciando alle varie équipe dei Ser.T. le decisioni sui dosaggi e sulle modalità di somministrazione. Questo porta ad un’ulteriore discriminazione fra i tossicodipendenti stessi, i quali si trovano ad avere in alcuni casi l’autogestione del farmaco, mentre ad altri questa possibilità viene negata anche se lavorano o se hanno problemi di salute, costringendoli spesso a recarsi tutti i giorni alla distribuzione.
Questo è solo un esempio, ce ne sarebbero moltissimi altri ma per ovvi motivi di spazio non è possibile elencarli tutti.
Mi pare ovvio, a questo punto, che il metadone dovrebbe essere considerato non come la panacea che “guarisce” il tossicodipendente dall’eroina (anche perché esso crea, a sua volta, una dipendenza forse peggiore dal punto di vista fisico), ma uno strumento da utilizzare in un più ampio ventaglio di risorse.
Cominciando, magari, a non considerare la terapia metadonica come un criterio penalizzante nella ricerca di un lavoro (molte cooperative cosiddette “sociali” usano discriminare chi è in trattamento metadonico) ma bensì pensare il metadone, appunto, come uno strumento da utilizzare per fare concretamente riduzione del danno.
Per concludere, un’ultima considerazione: mi chiedo se ormai non siamo giunti al punto in cui converrebbe pensare realmente di cominciare a sperimentare la somministrazione controllata di eroina; sarebbe forse più difficile accettare il dato di fatto che esistono persone che non hanno voglia di smettere di farsi, ma sarebbe un buon punto di partenza per restituire dignità a chi ha scelto altro per la propria vita.
* Redazione di “Polvere”, Torino