Le ultime immagini di Parco Stura, a Torino, mostrano agenti a cavallo che perlustrano un far west fatto di campi spelacchiati, siringhe, giacigli di fortuna, gente che scappa. Nulla di nuovo, a parte i cavalli. Non si vedono case, consumatori e spacciatori: secondo la razionalità di chi vive ai margini e ai margini viene spinto, si sono portati verso il limite estremo del parco, dove non ci sono cani e bambini. Per essere più invisibili di quanto normalmente già non sono. Ma i cavalli, si sa, vanno ovunque, mica come le pantere. Nella palude stagnante di Parco Stura, dove la politica locale torinese non ha nulla da dire, né un pensiero di governo del territorio né il coraggio di un tentativo (le narcosale sono, come noto, archiviate) ci sono tuttavia dei movimenti: guardie, ladri e bande di quartiere. Le guardie: a parte i cavalli, l’altra novità è il nuovo Prefetto di Torino, Giosuè Marino, che propone una inedita interpretazione della legge Fini Giovanardi, all’articolo 75 bis, comma 1, lettera c: interdire ai tossici il parco. Ora, a parte che la legge forse intendeva l’interdizione riferita a locali pubblici, c’è anche da dire che la medesima legge non è arrivata alle persecuzioni di massa ma solo a quelle individuali: come farebbe, il prefetto, a comminare questa prescrizione a centinaia di persone e soprattutto come farebbe a farla rispettare? Con un check point?
Per la prima volta, sulle pagine de La Stampa, una donna prende parola per denunciare che lei e gli altri che al parco vanno a comprare e consumare sono oggetto di botte e assalti da parte di gruppi di sconosciuti con bastoni e mazze. Denunciano e chiedono sicurezza. Dunque, prefetto, e sindaco e tutti, la sicurezza per chi? Se andate sul forum del giornale trovate battute di spirito dei “bravi torinesi” che si chiedono se il sindaco pagherà una scorta per i tossici. È un dibattito disgustoso, ma non meno della difficoltà che abbiamo a dire – anche solo a dire! – che chi è fragile è proprio chi consuma lì, chi vive lì, chi viene picchiato lì: i consumatori. Più fragili e più “insicuri” degli abitanti che protestano. Un dibattito che sembra lunare.
Le bande di quartiere aspettano al varco, nei luoghi di passaggio verso gli inferi. Sono in gruppo contro uno o due consumatori, meglio se donne. Sembra un esercizio di signoria del territorio, un esperimento identitario metropolitano contro l’anomia, più che un piano contro i tossici. Anche perché non è da escludere che gli stessi che picchiano abbiano in casa o sul pianerottolo qualcuno che consuma, date le statistiche della zona. Ma è anche peggio: l’anomia metropolitana ha bisogno di nemici, e il nemico è lì, perfetto, suitable, direbbero i critici della tolleranza zero, ideale.
Parco Stura è questa palude. Tra guardie, ladri e picchiatori, urla per la sua assenza la politica della città. Dipanare una matassa giunta a questo grado di aggrovigliamento non sarebbe facile per nessuno, nemmeno in Svizzera o in Olanda. Non si fanno marcire così, le situazioni complesse. Si prevengono. Ma almeno porsi la domanda sul contributo che la politica sociale della città e la pratica della mediazione potrebbe dare per limitare i danni, questo si potrebbe fare. Magari non chiedendolo solo ai cavalli.
Susanna Ronconi