Benedetto Labita viene arrestato il 21 aprile 1992 con la pesante accusa di appartenere alla mafia della cittadina di Alcamo. Ad accusarlo è un mafioso sedicente pentito B.F. Il 6 maggio successivo il tribunale di Trapani respinge la sua richiesta di remissione in libertà. Il Labita, dal 20 luglio 1992 al 23 gennaio 1993, è recluso nel carcere di Pianosa. Il 10 aprile 1994 presenta un ricorso alla Commissione Europea sui Diritti dell’Uomo di Strasburgo per i maltrattamenti subiti nella prigione di Pianosa. Così la Commissione Europea inizia le sue indagini. Negli atti istruttori della commissione si legge: “Nella cartella clinica della prigione di Pianosa risulta che al suo arrivo il richiedente era in buono stato di salute. Egli sostiene di essere stato spesso schiaffeggiato. Gli sarebbero stati, inoltre, compressi i testicoli, pratica che era sistematicamente inflitta a tutti i detenuti. Una volta, mentre il richiedente veniva picchiato, la sua maglia si sarebbe strappata. Il richiedente avrebbe fatto delle rimostranze. Due ore dopo, un agente gli avrebbe ingiunto di tacere, l’avrebbe insultato ed in seguito colpito, causandogli la rottura della protesi dentaria. Talvolta gli agenti provocavano il rovesciamento dei prodotti per l’igiene dei detenuti per terra fuori dalle celle e vi facevano cadere anche dell’acqua il che rendeva il pavimento scivoloso. I detenuti erano in seguito costretti a correre nei corridoi, fra due fila di agenti di polizia penitenziaria, il che provocava delle cadute alle quali gli agenti reagivano colpendo con gli sfollagenti i detenuti caduti.” Il 5 settembre del 1992 il magistrato di sorveglianza di Livorno invia una relazione al Ministro di Grazia e Giustizia, nella quale, fra l’altro, a seguito di un suo sopralluogo sia nella sezione speciale Agrippa che nelle sezioni ordinarie di Pianosa, riferisce di ripetute violazioni dei diritti dei detenuti e di vari episodi di maltrattamenti. Ad esempio i detenuti erano obbligati, con l’ausilio di manganellate alle gambe, a recarsi nel cortile di passeggio. Gli ispettori ministeriali minimizzano. La Procura apre una inchiesta, oggi ancora in corso. Il Governo, nelle sue controdeduzioni alla Commissione Europea, parla di episodi circoscritti e non di politica penitenziaria orientata ai maltrattamenti. In quegli anni la polizia penitenziaria che si occupava dei mafiosi faceva capo allo Scop (Servizio Centrale Operativo) che rispondeva non al direttore del carcere ma ad ufficiali del disciolto corpo degli agenti di custodia. Il 12 dicembre 1996 il presidente del tribunale di Sorveglianza di Firenze precisa che i fatti accaduti a Pianosa erano stati voluti e tollerati dal Governo allora in carica. Sottolinea che la sezione di massima sicurezza fu creata ricorrendo ad agenti di altre carceri, non sottoposti ad alcuna selezione e che disponevano di carta bianca. Alla luce di tutto questo la Commissione Europea sui Diritti dell’Uomo all’unanimità ha dichiarato ricevibile il ricorso di Labita per i maltrattamenti subiti. Da un giorno all’altro la Corte dovrebbe decidere se condannare l’Italia per tortura e maltrattamenti. I protagonisti della vicenda. Labita è stato definitivamente prosciolto dalle accuse rivoltegli. Il presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze è stato prima nominato direttore generale del dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e poi rimosso dal suo incarico per non meglio precisate ragioni. Agli Ufficiali del disciolto corpo degli agenti di custodia sono stati conferiti incarichi di vertice dell’amministrazione penitenziaria. Il carcere di Pianosa è stato chiuso.
Pianosa in Europa
Articolo di Redazione
Il caso Labita: quando la prigione è tortura