Le droghe non c’erano, in campagna elettorale, nemmeno nei proclami della destra, che nel 2001 ne aveva invece fatto una bandiera. In altre faccende affaccendati, tutti: law&order, sicurezza, sviluppo, sì, ma senza troppi intralci di conflitto sociale, anzi, nemmeno di rappresentanza di diritti e bisogni sociali. L’esito delle elezioni, poi, ci consegna, per quanto attiene a droghe, proibizione e diritti, un orizzonte a doppia faccia: fine di una prospettiva riformista, sul piano delle normative, ed enfatizzazione di un proibizionismo securitario e disciplinare. Nessuno dei due aspetti è nuovo, sia chiaro: il riformismo, anche quello davvero moderato delle proposte di abrogazione della Fini Giovanardi e di riforma della Jervolino Vassalli, l’avevamo dato per perso già lo scorso anno, quando dopo la lunga mobilitazione del quinquennio Berlusconi prima e del biennio Prodi poi, Forum Droghe, insieme a molti altri, in primavera, aveva dichiaro al governo dell’Ulivo “time out”, tempo scaduto; il proibizionismo securitario (quello dei sindaci contro ogni “disturbo urbano”, a cominciare dal consumo visibile dei più poveri e dal piccolo spaccio) e quello disciplinare (dei kit e dei cani antidroga e dei genitori-sceriffi) sono andati crescendo a ritmo serrato negli ultimi anni, con complicità bipartisan: dai patti municipali per la sicurezza a certe uscite “di sinistra” sul consumo zero. E però, se tutto era già in atto, una rottura c’è stata, una precipitazione. All’assemblea di Forum Droghe, che si è svolta lo scorso 19 aprile a Firenze, di legge non s’è parlato: e non perché non sappiamo il prezzo che si sta pagando per la Fini Giovanardi, ma perché oggi non c’è sponda riformista – e la pattuglia radicale e qualche altro singolo interlocutore nel Pd saranno ben più isolati di quanto non lo sia stata la sinistra nell’ultima legislatura. Per la stessa ragione Forum non aveva lanciato, come invece in altre stagioni politiche, appelli a candidati e partiti: sarebbe stato un gioco esausto, un esercizio inutile.
Si è parlato d’altro: di pratiche dal basso, intanto, quello sperimentare – professionale o da cittadino organizzato, da servizio innovativo o da movimento – che non ha bisogno di seggi in Parlamento, un mix di saperi che è sottostimato, sottoteorizzato, sottoutilizzato, e che ha infiniti interlocutori in una società autoorganizzata e resistente. Di presidio dei diritti: ché il proibizionismo securitario, nelle città, vorrà sempre di più dire – basta analizzare il senso del voto popolare alla Lega e i contenuti bipartisan delle contese municipali – mano libera contro i “nemici perfetti”, controllo pervasivo del territorio, inaccessibilità a un welfare inclusivo. Di lavoro capillare, paziente sul senso comune e sul “discorso” delle droghe, sull’informazione senza vizi ideologici e sull’educazione degli educatori, ma anche degli amministratori locali: perché anche chi oggi insegue l’immagine del sindaco sceriffo subirà il suo scacco. Consumi e vendita di droghe illegali sono un fenomeno troppo complesso per le illusioni securitarie: gli amministratori si accorgeranno presto di essere in braghe di tela, con le città che diventano immensi dispositivi di massimizzazione di danni, costi e sofferenze. E poi investire in ricerca – e soprattutto in quella che porta utile conoscenza del fenomeno e valutazione delle politiche più che far ruotare miliardi attorno alla brain desease e alle case farmaceutiche – e nei rapporti internazionali, come Forum sta facendo: perché nel mondo, e in Europa, orizzonti riformisti e strategie di riduzione del danno stanno crescendo, e guardare oltre il confine significa trovare nuove alleanze.