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A questa, e ad altre domande solo apparentemente bizzarre cerca di rispondere l’agile e documentatissimo libretto sulla cocaina di Gian Luigi Gessa (Cocaina, Rubettino 2008). Ma che c’entrano i topi con le sostanze? Proprio gli studi sui ratti e su altri animali, spiega Gessa, hanno dimostrato nel corso dei decenni che c’è un’area cerebrale che governa, per così dire, il principio del piacere: e, se opportunamente stimolata, anche quello della compulsività, fino alla addiction che l’autore accuratamente distingue dalla semplice dipendenza. Non solo un’area cerebrale, ma anche una specifica sostanza – la dopamina – sono responsabili di una complessa catena di sensazioni e di comportamenti che riguardano le «top five» ovvero le cinque droghe più desiderate dall’uomo (e dal ratto, come si è dimostrato in laboratorio): cocaina, appunto (la più attraente di tutte, anche per i topi), oppiacei, nicotina, alcol e Thc, il principio attivo della cannabis.
Fanno anche capo a quell’area del cervello e a quella sostanza, si è cercato di dimostrare (Gessa descrive punto per punto i relativi esperimenti) l’attrazione per il sesso opposto e tutte le sensazioni connesse, anche quelle del cosiddetto «amore romantico». L’autore però è tutto meno che un positivista ingenuo, ignaro delle determinanti socioculturali del fenomeno «droghe». Proprio per questo, nel suo libro, con le riflessioni di tipo neurobiologico si incrociano ripetutamente quelle di contesto psicosociale (vedi Peter Cohen in Fuoriluogo, novembre 2008): tanto che vengono citati diffusamente due autori lontanissimi dall’approccio esclusivamente biomedico come i sociologi Tom Decorte e lo stesso Peter Cohen. Ecco quindi la brillante riflessione storica sulla cocaina, dalle geniali intuizioni di Freud alla paradossale vicenda del «Vin Mariani» (bevanda stimolante a base di coca molto in voga prima del passaggio alla proibizione): ma ecco soprattutto, l’importantissima osservazione su come quella che Gessa chiama «l’epidemia di cocaina», prima negli Usa e poi in Europa, ha costretto scienziati e operatori a modificare il concetto stesso di dipendenza; ed ecco, infine, il decisivo chiarimento sul fatto che nella maggioranza dei consumatori l’uso sporadico non porta necessariamente alla dipendenza, come già sosteneva Freud.
Come il libro di Gessa anche quello curato da Fabrizia Bagozzi e Claudio Cippitelli, In estrema sostanza. Scenari, servizi e interventi sul consumo di cocaina (Iacobelli 2008) ha per oggetto il problema della nuova e vasta diffusione di cocaina. Con una forte e motivata ambizione interdisciplinare il volume associa diciotto contributi fra saggi, articoli e interviste: s’incontrano così le voci di operatori pubblici come Stefano Vecchio, o del privato sociale come Mario German De Luca; di clinici e psicoterapeuti come Renato Bricolo, Augusto Consoli e Nicola Cilla; di studiosi di psicologia e sociologia, come Claudio Cippitelli e Grazia Zuffa; di intellettuali come Michel Maffesoli e di un giovane consumatore di sostanze, come «Matteo».
Assai significativi sono anche i dettagliati resoconti sulle attività di cura, di prevenzione e sui relativi paradigmi (socioculturali e terapeutici) di molti operatori appartenenti a vari servizi, prevalentemente ma non solo dell’area romana e laziale. È impossibile in questa sede dar conto anche solo dei principali contributi raccolti nel volume: ci limiteremo quindi a ricordarne alcuni. Grazia Zuffa, nel suo saggio, insiste sul concetto di «controllo dell’uso», che anche i consumatori di cocaina sono capaci di esercitare al contrario di quanto comunemente si crede: come dimostrano i tanti studi in proposito, fra cui proprio quelli di Cohen e Decorte; Claudio Cippitelli descrive accuratamente le caratteristiche, sia quantitative che qualitative del fenomeno «nuova diffusione della cocaina», a livello italiano ed europeo: e lo inquadra poi in una riflessione sociologica generale sui mutamenti della società contemporanea, alla luce delle riflessioni di studiosi di vario e diverso orientamento, come Ehrenberg, Rigliano, Amendt, Bauman, Galimberti e lo stesso Gessa.
Stefano Vecchio delinea un nuovo modello di servizio pubblico e del privato sociale, adeguato alle nuove esigenze: il consumatore «medio» di cocaina, infatti non andrà mai nei Sert, così come sono oggi, ma potrà avere problemi anche gravi, non necessariamente né sempre coincidenti con quello della dipendenza. Renato Bricolo spiega, infine, il concetto di «presa in carico precoce»: «sei giovane, usi sostanze fra le quali cocaina, non sei dipendente ma non conosci i pericoli; gli adulti non ti convincono, vuoi sperimentare; debbo comunque accompagnarti, informarti, starti vicino anche se non vuoi smettere, aiutarti se vuoi uscire». Sembra facile: ma solo con uno sguardo clinico profondo può essere teorizzata e praticata questa strada innovativa, apparentemente ovvia, ma in realtà «scandalosa» e piena di ostacoli, politici ed epistemologici.

*Responsabile dipendenze Cgil Nazionale