Tempo di lettura: 2 minuti

Sempre accade che nel paese ospitante una conferenza internazionale, com’è il caso della Clat4, si accendano, da parte di operatori, associazioni e movimenti, aspettative attorno a una qualche positiva ricaduta politica, vuoi per l’attenzione dei media vuoi per la forza che le evidenze portate da tante diverse realtà è in grado di rilanciare alle politiche locali. È vero, siamo un paese che ha da dire e da portare ormai un quindicennio di esperienze locali. Eppure, il bisogno di un effetto politico mi pare che oggi, anno 2007, resti nell’aria, e non solo perché siamo a Milano, dove le politiche sulle droghe sono dominate dall’ideologia proibizionista più sorda. Anche a livello nazionale, un governo che doveva rimediare in tempi brevi agli orrori legislativi della destra tentenna, oscilla e di fatto sta fermo, nonostante la buona volontà di pochi.
Non sappiamo cosa porterà la Clat4, da questo punto di vista: prudentemente teniamo a bada le nostre aspettative. Certo non è un caso però che in questa conferenza si sia voluto, in tanti, dare spazio al tema della riduzione del danno come “politica pubblica”: perché i mosaici di servizi e progetti, per quanto onesti e a volte eccellenti, davvero non bastano più. Stiamo da troppo dentro il paradosso della nostra debolezza, in cui interventi e approcci scontano un depotenziamento della propria incisività anche sociale, non solo sanitaria, proprio perché sporadici, poco sostenuti, non continuativi, senza sponda politica e di programmazione. Siamo ancora qui ad aspettare regioni, città e governi che davvero si diano linee guida di “politica pubblica” sociale e sanitaria esplicita e coerente. Un confronto europeo su come la riduzione del danno sia davvero ormai il “quarto pilastro” è quanto mai importante, per noi.
Ma, oltre la politica, ciò che la Clat ha da sempre rappresentato è un’importante occasione di confronto tra pratiche e tra protagonisti, un consesso che è scientifico ed è sociale, democratico, se con questo possiamo intendere la dignità di tutti gli attori (ricercatori, operatori, consumatori) e i loro saperi, e il riconoscimento, la validazione del circolo virtuoso tra prassi e conoscenze.
In questo, la presenza di consumatori e di movimenti italiani, favoriti quest’anno dalla vicinanza, è importante: il rilancio di quella alleanza tra saperi e tra soggetti che ha dato sempre buoni frutti, pratici e politici, e anche l’auspicabile rientro in scena di alcuni pezzi di movimento che, negli ultimi anni, si sono allontanati dal tema delle droghe e oggi abbiamo l’occasione di reincontrare.
Una conferenza, insomma, che sappia essere una comunità di pratiche e una comunità scientifica, capace di portare il contributo anche di un forte «discorso» culturale e paradigmatico; e al tempo stesso che abbia una voce verso il mondo dei decisori. Non solo, quest’anno, quelli nazionali, ma anche quelli europei e quelli globali: perché la sedicente partecipazione della società civile attivata in ambito Ue non sia un mimare stanco di sigle convocate in contesti sterilizzati, e gli appuntamenti Onu del 2008 e del 2009 siano almeno saggiamente disturbati da voci fuoricampo, e sottratti alla propria ormai ridicola eppure potente autoreferenzialità.
Una voce, anche, per gridare due nomi: Aldo, uomo pacifico morto ammazzato in carcere a Perugia mentre era detenuto per alcune piante di marijuana, e Mohammed, ragazzo marocchino chiuso in carcere a Torino per quattro anni e sei mesi per la vendita di un grammo virgola tre di marijuana per un importo totale di euro cinque.
Dedicherei a loro la conferenza.
Buon lavoro a noi tutti.