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Il Rapporto 2008 sui diritti globali contiene una raccolta enorme di materiali di documentazione che, se parte dalla considerazione della situazione italiana (su cui si concentra quasi interamente l’introduzione di Sergio Segio), si allarga per cerchi concentrici all’intera situazione mondiale. Esso costituisce dunque un materiale prezioso per chiunque si batta per i diritti umani con una particolare attenzione a tutti coloro che, per ragioni di fatto o di diritto, ne sono esclusi e sono vittime di odiose forme di sfruttamento e di oppressione: i migranti, i senza tutela, i poveri, gli affamati del terzo mondo, i popoli non rappresentati e le minoranze etniche esposte al rischio di un genocidio innanzitutto culturale, le vittime del terrorismo, delle guerre e delle guerre civili
Progettato e realizzato dalla Associazione SocietàINformazione e coordinato da Sergio Segio il rapporto si compone di ben 1.350 pagine, divise in quattro grandi sezioni di ricerca – diritti economico sindacali, diritti sociali, diritti umani civili e politici, diritti globali ed ecologico ambientali – e numerose sottosezioni, corredate da interviste, cronologie e statistiche ed è presentato da una prefazione di Guglielmo Epifani.
Le questioni della giustizia e del carcere sono, al pari di quelle sulla sicurezza, nonostante le ovvie connessioni con il tema dei «diritti umani, civili e politici», giustamente trattate nella sezione «diritti sociali» poiché su tali questioni passa una delle nuove e più drammatiche frontiere della discriminazione di classe che colpisce i nuovi poveri, gli emarginati, i più deboli e indifesi. Qualcuno ha definito il carcere una «discarica sociale». Può apparire una definizione cinica o demagogica ed è invece filologicamente esatta se si riflette sul fatto che ormai da tempo e sempre di più la classe politica con l’appoggio di opinion leaders che si dichiarano liberali, «scarica» letteralmente sul carcere i problemi e le emergenze sociali che non riesce a risolvere altrimenti.
Il rapporto non fa in tempo naturalmente a prendere in considerazione i recenti provvedimenti del governo Berlusconi. Essi hanno avuto però la loro premessa nella rinuncia del governo e della maggioranza di centrosinistra a porre mano a quelle riforme (Codice penale, Bossi-Fini, Giovanardi-Fini, riforma della giustizia) che avrebbero dovuto – dopo l’indulto – costituire, anche in termini di sicurezza, una politica alternativa alle ricette della destra. È come se il centrosinistra, anche per la situazione pericolante della sua maggioranza al Senato, si fosse ritratto spaventato dal dovere di una profonda politica di riforme. Ma, così facendo, ha spianato la strada alle campagne mediatiche sulla criminalità e sull’insicurezza. E, nell’assenza di una politica democratica di riforme, lo stesso centrosinistra ha finito per subire gli effetti di quelle campagne omologandosi soprattutto nelle scelte degli amministratori di alcune grandi città alle scelte della destra. Perché se è vero che la domanda di sicurezza non è solo della destra, le risposte di una sinistra democratica non possono essere le stesse. I risultati di due anni di paralisi legislativa e politica in questo campo sono denunciati nel rapporto con una ricostruzione minuziosa e documentata. Una indagine non meno interessante è riservata al problema dell’immigrazione e a quello ormai esploso dei rom, divenuti in questi mesi il capro espiatorio di situazioni non governate. La destra ha la responsabilità di blandire una vera e propria ondata xenofoba e di non contrastarla. Il centrosinistra ha la responsabilità di non aver saputo mettere in atto misure rigorose ma tendenti all’inclusione anziché all’esclusione e all’emarginazione.