Australia e Regno Unito, due tra i paesi che più hanno attivato interventi di riduzione del danno, hanno utilizzato i microfoni della Conferenza di Ginevra per lanciare un monito molto chiaro: difendiamo la riduzione del danno. Difendiamola, perché i segnali non sono incoraggianti: lo ha ricordato Pat O’Hare, nella relazione d’apertura, lo ha sottolineato con più forza una delle voci più autorevoli, Samuel Friedmann, docente a New York. Friedmann ha suggerito una lettura politica dell’attuale momento, segnato dall’inequivocabile soffiare di “venti di destra” che spirano in risposta ad una situazione di crisi aperta su più fronti. Crisi del capitale, l’ha definita, cui sempre più si risponde, nei paesi sviluppati, coagulando un blocco sociale di destra. Ebbene, che ha che fare con noi, tutto questo? C’entra, e molto, dice Friedmann, perché la coesione di un blocco sociale di destra si gioca sull’agitazione di “temi forti”. E la droga lo è, classicamente: la cultura della tolleranza zero serve da “macchina del consenso dei gruppi reazionari”. Ma non solo: oltre al rischio tolleranza zero versus riduzione del danno, ce n’è anche un secondo, quello di slegare le politiche di riduzione del danno dalla difesa del welfare, in fase di selvaggio smantellamento. Il rischio, cioè, di piegare la riduzione del danno ad un esclusivo imperativo di ordine pubblico, limitandone la valenza sociale. Dobbiamo, allora, dice Friedmann,, sviluppare alleanze sociali con i ceti poveri che dallo smantellamento del welfare ricavano più povertà e meno diritti e dobbiamo farlo a partire da noi, operatori, vedendoci come ceto che sa costruire interazioni sociali. Il nodo cruciale, a mio avviso, è proprio questo: che ne è della riduzione del danno senza welfare? Che ne è della riduzione del danno senza politiche sociali coerenti? Che ne rimane senza quelle alleanze forti, che Pat O’Hare ricordava, tra protagonismo sociale dei soggetti più toccati, organizzazioni non governative, partnership pubblico / privato, che si basano sul diritto di cittadinanza di quei soggetti? Cosa ne resta, se i venti di destra la scarnificano sino a lasciare al centro esclusivamente le analisi dei costi e l’organicità alle politiche di ordine pubblico? Non si tratta – né lo ha fatto Friedmann – di ricreare contrapposizioni che la riduzione del danno ha sempre voluto coerentemente addolcire: lavorare per l’inclusione sociale dei consumatori ha sempre voluto dire lavorare anche per un controllo sociale a tutela di tutti i cittadini. E’ un punto di forza, che – tra l’altro – le politiche della tolleranza zero non possono a tutt’oggi vantare. Non dobbiamo, insomma chiederci “da che parte stiamo”, (salute e benessere o controllo sociale). Ma certamente dobbiamo chiederci “da che parte siamo” realmente, se cioè quello che cerchiamo è davvero l’inclusione e il benessere possibile dei consumatori, come base e premessa per un minor costo in termini di comunità sociale. E se siamo da questa parte, allora politiche sociali coerenti, livelli decenti di welfare, diritti sociali praticamente agiti, sono ciò per cui dobbiamo lavorare. Altrimenti, accade quello che Robert Haemmig, dell’università di Berna, ha pessimisticamente tratteggiato: siamo nati come critica al sistema della repressone e siamo diventati la sua foglia di fico; volevamo lavorare per l’accettazione sociale dei consumatori e siamo finiti a fare della pedagogia (in the long run everyone should brought into abstinence… alla lunga, tutti dovrebbero smettere..); abbiamo lottato per servizi centrati sui consumatori ed oggi tutto è centrato sul controllo dei costi; abbiamo lavorato per un nuovo concetto di salute pubblica e siamo finiti a parlare solo di ordine pubblico. “Un certo ordine – ha detto Haemming – perché se si parla di sicurezza, questa deve valere per tutta la collettività, consumatori inclusi”. Forse non è tutto così fosco, ma una certa inquietudine la si prova. Viene da pensare alla declinazione, anche da sinistra, del tema della sicurezza urbana, produttrice di mostri (come il furto che il governo propone di considerare come reato contro la persona…) o al meglio rincorsa dei temi cari alla destra. Troppo raramente, concreto sforzo di coniugare, nella comunità locale, legalità e giustizia sociale, accettazione “dell’altro” e convivenza sociale. Raramente, una “politica sociale”, e non solo una politica d’ordine con la foglia di fico di essere agita non da poliziotti ma da amministratori. La riduzione del danno tiene insieme il bene dei consumatori e quello della collettività, ma non può lavorare per la sicurezza sociale (perché chiamarla “ordine pubblico”?) se non lavora per l’inclusione sociale. Per questo Samuel Friedmann va ascoltato.
Ridurre il danno non il Welfare
Articolo di Redazione
La sicurezza sociale non è ordine pubblico